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Giorgio Armani Operations in amministrazione giudiziaria: «Non ha evitato il caporalato dei cinesi»

05 Aprile 2024 - 12:21 Redazione
L'azienda non è indagata ma ha ricevuto una misura di prevenzione dal tribunale di Milano che ha nominato un consulente per «bonificare» i rapporti con i fornitori

Capannoni in cui di giorno si lavora per produrre i manufatti di alta moda e di notte, accanto ai macchinari, si dorme. I lavoratori, quasi tutti stranieri, assoldati da opifici cinesi nell’hinterland milanese. E una società appaltatrice, la Giorgio Armani Operations spa, che non ha fatto abbastanza per evitare lo sfruttamento della manodopera irregolare. È la sintesi dell’inchiesta che ha portato l’azienda del gruppo Giorgio Armani spa a essere sottoposta in amministrazione giudiziaria. Riprendendo le carte della sezione Misure di prevenzione del tribunale di Milano, il Corriere spiega: «Questa sorta di parziale “commissariamento” viene adottato quando si ritiene che, attraverso il libero esercizio della propria attività economica, a una impresa possa essere rimproverato, anche solo a titolo di rimproverabilità colposa per inerzia o cattiva organizzazione interna, di aver agevolato l’attività di persone indagate per un catalogo di reati tra i quali l’intermediazione illecita e lo sfruttamento del lavoro, cioè il reato di caporalato».

Il capo d’accusa è mosso ai titolari degli opifici cinesi che sono stati chiusi dai carabinieri dopo una serie di ispezioni. Mentre l’azienda collegata a Giorgio Armani non risulta indagata, così come lo stilista 89enne. Non si tratta, dunque, di una misura punitiva, ma di un affiancamento ai vertici societari, per «bonificare» i rapporti con i fornitori. La Giorgio Armani Operations spa appaltava la produzione di borse, pelletteria e accessori alla Manifatture Lombarde srl, che a sua volta si sarebbe avvalsa di queste strutture gestite da titolari di nazionalità cinese. Infatti, la Manifatture Lombarde non avrebbe sarebbe proprietaria di alcun macchinario, ne avrebbe il personale per la lavorazione delle pelli. Il suo compito sarebbe stato solo quello di reperire il pellame per poi esternalizzare la produzione in serie ad altri. In questo caso, agli opifici cinesi. Le imprese di Armani, ad ogni modo, restano estranee all’associazione criminale e la finalità dell’amministrazione giudiziaria serve proprio a «a contrastare la contaminazione antigiuridica di un’impresa sana, sottoponendola a un parziale controllo giudiziario proprio per sottrarla il più rapidamente possibile all’infiltrazione criminale, depurarla di quegli elementi inquinanti e restituirla “bonificata” al libero mercato».

Dai sopralluoghi dei carabinieri è emerso che nei capannoni sequestrati a Pieve Emanuele e a Rozzano, lavoratori prevalentemente cinesi ma anche pakistani operavano senza rispettare le regole di sicurezza sul lavoro. Ad esempio, per operare con più velocità, erano stati rimossi dai macchinari i dispositivi di protezione. Pagati per 4 ore al giorno, quando in realtà offrivano prestazioni per 10, spesso dormivano in dormitori abusivi installati all’interno degli stessi luoghi di lavoro. Nelle strutture, impianti elettrici non a norma, con bagni e cucine insalubri. Sono stati rinvenuti persino alimenti riposti accanto a sostanze chimiche pericolose. Inutile aggiungere che non c’è evidenza di corsi di formazione e di sicurezza e che anche le visite mediche di idoneità al lavoro erano una chimera.

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