La borseggiatrice picchiata a Termini perché non voleva rubare più: «Calci, pugni e sputi ma io pensavo a mio figlio»
Si chiama Meri Secic, ha 39 anni ed è di nazionalità croata la donna che venerdì pomeriggio è stata massacrata di botte perché non voleva più rubare. Era incinta: il figlio è nato con un parto d’urgenza. E lei oggi racconta al Messaggero che a ridurla così sono stati «i miei protettori. Hanno mandato un gruppo di picchiatori a massacrarmi perché gli avevo detto che non volevo rubare più. Mi hanno aggredita mentre ero in metro, usando il tirapugni e colpendomi anche con le bottiglie». E aggiunge che l’unica cosa che la preoccupava durante quegli attimi «era il figlio che avevo in grembo. Dovevo proteggere lui e per questo ho tenuto sempre le mani sulla pancia. Da qui il motivo delle tante ferite al volto: era l’unico punto che potevano colpire. Ero a terra e per impedire loro di picchiarmi sul ventre mi sono nascosta sotto i sedili della metro. Ma non smettevano».
Le botte
Meri Secic racconta che hanno continuato «per diversi minuti: calci, pugni, sputi finché non siamo arrivati alla fermata Termini. A quel punto si sono aperte le porte e loro, dopo un’altra serie di botte, sono scappati via». Ha denunciato alla polizia: «Spero davvero che li prendano e che sia fatta giustizia. Devono pagare per quello che hanno fatto. Adesso che ho trovato la forza di denunciare non temo più nulla. Mi fido delle forze dell’ordine». E aggiunge che ha deciso di cambiare vita «da quando sono stata arrestata. Sono rimasta in carcere per cinque anni che mi sono serviti a capire che un altro tipo di vita è possibile, che si possono guadagnare i soldi anche lavorando e non solo rubando. E così, quando la scorsa estate sono uscita di prigione, ho deciso di ribellarmi e di dire basta alla mia vecchia vita».
La storia
Poi racconta la sua storia: «Io non sono nata in un campo rom, ma da una famiglia croata che poi si è trasferita in Italia. Vivevo con i miei a Firenze. Ma all’improvviso mi sono trovata sola e non sapevo cosa fare per vivere. Così ho iniziato con i primi furti e un giorno sono stata avvicinata da un gruppo di zingari». Che sono diventati la sua nuova famiglia: «Mi sono anche fidanzata e ho avuto 12 figli. Da Firenze sono andata in un campo a Roma e rubavo per guadagnarmi da vivere». Ora, dice, «alcuni figli sono grandi e autonomi. Adesso infatti mi sta aiutando la mia prima figlia, che è anche venuta in ospedale per portarmi i vestitini per il fratello. Ma non voglio coinvolgerla. Deve restare fuori da questa storia e dalla mia vecchia vita…».
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