«Le mie foto intime sui muri di Cinisello Balsamo e 10 denunce inutili: la giustizia è troppo lenta per tutelare le vittime»
La storia del revenge porn a Cinisello Balsamo non è finita con la condanna al braccialetto elettronico per l’uomo che ha tappezzato la città di foto intime della sua ex. Fogli A4 appesi ovunque per mesi con il nome, il cognome e il numero di telefono della vittima. Che oggi ha raccontato la sua storia al Corriere della Sera. Accusando le forze dell’ordine: «Da quando è iniziato questo terrore, ho presentato una decina di denunce. Ho incontrato personale empatico, però non hanno i mezzi, non hanno abbastanza pattuglie. O meglio, i tempi della giustizia, per noi comuni cittadini, sono lunghi. Troppo lunghi. Se mi sono salvata da un epilogo peggiore, tragico — poteva avvenire di tutto, forse sarebbe avvenuto — è perché ho assunto un investigatore».
La relazione
La donna spiega che di mestiere fa l’impiegata: «Prendo 1.600 euro e ne ho spesi tremila per un detective privato; ho mutuo, i figli piccoli, sono separata, i soldi non cadono dal cielo, ho aggiunto l’ennesimo prestito ai tanti e ho pagato l’investigatore. Lo avevo ingaggiato a ore, si metteva ad attendere sotto casa mia che quell’uomo arrivasse». Il detective ha colto l’uomo «mentre distribuiva i volantini… Li aveva messi anche davanti alle scuole dei miei piccoli… Ormai avevo preso l’abitudine, prima di svegliarli, di camminare per Cinisello, vedere se c’erano quei maledetti fogli e farli sparire». La relazione con lui è durata nove mesi: «Ci eravamo conosciuti attraverso un gruppo di donne e uomini divorziati. Sembrava uno tranquillo, a modo, anzi lo era, forse perfino troppo educato, non si alterava mai per nulla. Poi ha iniziato a farsi delle idee… Voleva una relazione ancora più seria, insomma, una relazione per sempre. Ma ho quarant’anni, sono reduce da una separazione, ho i bambini, non corriamo».
La mancata protezione
Secondo la donna «era ovvio che lo stalker fosse lui, ma nessun magistrato ha autorizzato le intercettazioni o una perquisizione per analizzargli il cellulare: sarebbe bastato un nulla e lo avrebbero bloccato. Sono una donna forte, almeno mi ritengo tale, ma ora ho attacchi di panico. Violenti, di un impatto spaventoso. Ho, quasi per forza, modificato i rapporti con i figli, l’attenzione e l’affetto, poiché ero prigioniera di quell’uomo; e allo stesso modo ho abbassato, di molto, la mia concentrazione sul lavoro: avevo paura di trovarmelo in metrò, per strada, al bar dove bevo il caffè, in ufficio… Per la verità la paura non è passata: chi mi garantisce che ha smesso per davvero?».
Le denunce
Le sue denunce, aggiunge, «erano in Procura, si accumulavano, ho dovuto pagare un avvocato, ottocento euro, per sollecitare che ci dessero un’occhiata. E stiamo sempre qui a invitare le donne a denunciare. Lo consiglio anch’io: denunciate. Subito. Ma proteggetevi assumendo un investigatore. Se ne avete il denaro: altrimenti affidatevi al cielo, non alla nostra lenta, lentissima giustizia».