Matteo Berrettini, la depressione e gli infortuni: «Avevo il serbatoio vuoto, facevo fatica ad alzarmi dal letto»
Nei sei minuti del primo episodio di Zeta, prodotto da RedBull, Matteo Berrettini parla di cadute e di rinascite. Ripercorrendo la sua infanzia e la sua carriera, il tennista romano ammette che gli infortuni hanno scandito la sua vita e sono stati dei «momenti da sfruttare per diventare più forte in qualcosa» su cui non avrebbe potuto lavorare se fosse stato bene. Il primo? A 9 anni. La schiena. «La prima volta che mi sono bloccato avevo 9 anni, fu qualcosa di molto forte, non riuscivo a mettermi i calzini», ricorda, «gli infortuni hanno sempre fatto parte di me, è stato qualcosa che un pochino mi ha formato». Una scuola di vita «che forse solo lo sport ti può insegnare». E se l’ascesa di The Hammer, pur costellate da brusche frenate per problemi muscolari, lo ha portato nel 2022 a diventare il numero 6 del ranking Atp, tutto sembrava dirgli che «ce l’aveva fatta». Nel 2019 aveva raggiunto la sua prima semifinale in uno Slam, gli Us Open, un «turning point» per Berrettini: «Per un mese ho fatto fatica a dormire». L’anno successivo, la finale di Wimbledon contro Novak Djokovic, la sconfitta contro il numero 1 al mondo dopo avergli strappato il primo set. Tutti passaggi di cui è – ed era – orgoglioso, che sembravano renderlo felice. Ma c’era qualcosa che già non andava, anche se ancora non lo sapeva.
La depressione
Berrettini prosegue il suo racconto. Con la maturità di un atleta che a soli 27 anni ha già attraversato le varie fasi della vita di un campione. Perché a proposito di rinascite, dopo un anno tormentatissimo è appena uscito vincitore da Marrakech. Ma prima è passato per un periodo davvero buio. «Se guardo i miei risultati sono super fiero di me, ho una famiglia pazzesca, ho un sacco di persone che mi vogliono bene, nella vita ce l’ho fatta, com’è possibile che possa sentirmi così a terra, così schiacciato da tutto?», ragiona il tennista, «nel mio piccolo, un po’ la demonizzavo quella parola, depressione». Poi ha capito che è proprio nel momento in cui ti senti all’apice che ti prende, perché c’è qualcosa di più profondo che ti sta mancando. E descrive così la sua vita in quel periodo, una «lavatrice» che non si fermava mai: «È come se a un certo punto questo serbatoio di energie che io avevo per affrontare le difficoltà fosse vuoto completamente. Non lo puoi riempire con l’allenamento, ma con i momenti belli e le persone care, ti fa cpaire che ne vale sempre la pena». Ma l’infortunio agli Us Open del 2023 è stato il colpo più forte. «Tutti intorno a me si sono resi conto che c’era qualcosa che non andava», spiega, «è stato il momento più difficile, facevo veramente fatica ad alzarmi dal letto la mattina. A un certo punto ho detto: adesso faccio solo le cose che mi va di fare. Ho dovuto prendermi cura di me stesso». E così ha fatto, lontano dalle polemiche e vicino alle persone care. Un lavoro su se stesso che ha ripagato, sul campo e fuori, fino a fargli tornare il sorriso.