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Processo Giulio Regeni, parla l’amica: «Mi disse che in Egitto c’era molta repressione politica e bisognava esser cauti»

Il racconto della famiglia e degli amici del giovane ricercatore ucciso. La segretaria del Pd Elly Schlein presente al sit-in fuori dal tribunale. Il ministro degli Esteri Tajani: «Non rinunciamo alla ricerca della verità»

Davanti alla Prima Corte d’Assise di Roma prosegue il processo a carico dei quattro 007 egiziani accusati del sequestro, delle torture e dell’omicidio di Giulio Regeni. Oggi, 9 aprile, davanti ai giudici stanno parlando alcuni testimoni. Tra loro c’è anche una degli amici più stretti di Giulio. Che ha raccontato come il giovane conducesse una vita normale, «da studente che vive con un budget limitato». «Eravamo accademici, facevamo una vita noiosa rispetto a chi non ha i nostri stessi ritmi. Quando si è dottorandi, come eravamo noi, non esistono weekend. Giulio leggeva molto, ti consigliava libri e paper anche oltre il suo campo: si dedicava molto agli studi. Si interessava anche al cinema, alla musica». Giulio, ha raccontato, era anche una persona che dedicava tempo e impegno alle sue amicizie, coltivate anche grazie alle telefonate e ai social. La testimone ha raccontato di averlo sentito anche quand’era al Cairo. A Natale 2015 si incontrarono invece di persona, in Italia: «Mi ha raccontato di come stava andando con la ricerca, del fatto che stava passando molto tempo con i venditori ambulanti. Mi ha detto che era molto stancante, e che teneva un profilo molto basso».

«Una situazione difficile»

Appariva dunque stremato: «La ricerca sul campo si riferisce alla fase del dottorato in cui si va a raccogliere dati. Si fanno interviste, ricerche in archivio. Dopo che uno passa un anno e mezzo ad approfondire un determinato case study e poi esce sul campo è ovviamente difficile. Nonostante era giovane e abituato a viaggiare, gestire gli appuntamenti in un periodo ristretto di tempo in cui fare una serie di cose, partendo da un’idea che poi magari bisognava cambiare in corso d’opera… era inevitabilmente stancante. Anche in un contesto culturale dove c’era tanta povertà, e questo a lui pesava». In particolare, Giulio non ha specificato all’amica i problemi che stava riscontrando. La teste racconta che piuttosto le aveva parlato di «un quadro generale su una situazione non semplice, particolare». L’ultima volta che si sono parlati, nel gennaio 2016, gli aveva parlato però di una dura repressione politica da parte dello Stato. È stata poi fatta leggere una conversazione. Giulio dice: «Non sono mai stato in un Paese in cui la storia è un argomento esplosivo». Il giovane era dunque consapevole che «bisognava stare molto attenti», ha spiegato la donna. In un’altra chat, Giulio le raccontava dei ricercatori italiani conosciuti sul posto. «Ho conosciuto un ragazzo molisano, molto bravo, che lavora su cose simili alle mie. Sono contento di aver trovato qualcuno così». Di un altro, che «era un dottorando della British University del Cairo», diceva che era molto integrato con la comunità italiana del posto. In un’ulteriore occasione, aveva ribadito la sua preoccupazione per il quadro di repressione politica nel Paese. «Sapeva che bisognava essere molto cauti nei movimenti e nelle conversazioni», ha spiegato la ragazza. «Non si metteva in situazioni che avrebbero potuto metterlo in pericolo. Sapeva quello che faceva», ha puntualizzato ancora.

Il racconto del padre

Oggi davanti ai giudici ha parlato il padre del ricercatore friulano, Claudio Regeni. Che ha offerto uno spaccato su quella che era la vita di suo figlio, un ragazzo dall’intelligenza vivace e la curiosità nei confronti del mondo. «Dai 4 ai 14 anni io ho vissuto in Australia. Anche con i nostri figli abbiamo molto viaggiato, interessati a capire nuove culture e a parlare diverse lingue. Giulio parlava bene inglese, arabo, spagnolo e tedesco e stava studiando francese», ha raccontato. Spiegando anche come il giovane fosse stato da sempre intraprendente: «È andato via da casa per gli Stati Uniti a 17 anni, a Montezuma, per frequentare un corso di studi che consentiva accesso a università di tutto il mondo. Dal 2007 al 2011 ha vissuto in Inghilterra, per poi trasferirsi al Cairo, in Egitto, l’ultimo anno. Andammo a trovarlo lì».

Il supporto della politica

Fuori dal Tribunale di Piazzale Clodio, questa mattina, c’era anche la segretaria del Pd Elly Schlein. Presente per dimostrare la sua solidarietà ai genitori del ricercatore: «Ancora una volta siamo qui al fianco della famiglia Regeni. Questo è un processo importantissimo ed è una questione che riguarda la nostra Repubblica e non solo una singola famiglia. Non dobbiamo dimenticare che questo processo ha incontrato enormi ostacoli anche per i rapporti con l’Egitto», ha dichiarato. Anche Antonio Tajani, ospite di “Start”, su SkyTg24, ha voluto sottolineare l’impegno profuso per cercare la verità sul caso. «Sul caso Regeni non rinunciamo alla ricerca della verità. Speriamo di risolvere la vicenda. Stiamo operando con il governo egiziano attraverso la ‘moral suasion’. Con Zaki siamo riusciti a farlo tornare in Italia, speriamo di avere risultati positivi anche sulla vicenda Regeni», ha dichiarato il vicepremier e ministro degli Esteri.

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