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Mense scolastiche, da Monza a Catanzaro la corsa a ostacoli delle famiglie che scelgono di non usarle. E ad Anzio scatta la protesta del panino

In provincia di Roma la mobilitazione delle famiglie dopo gli insetti nel piatto. Ma in Italia ogni istituto decide da se. L'avvocato Vecchione: «Il problema è una burocrazia impreparata a risolvere i problemi»

Preparare al proprio figlio una porzione di pasta per pranzo potrebbe sembrare una premura scontata, ma se quel pasto deve essere consumato all’interno delle mura scolastiche la faccenda si complica. E questo perché sottrarre il bambino alla mensa dell’istituto, permettendogli di mangiare cibo portato da casa, non è considerato un diritto assoluto e incondizionato. O almeno non dalla Corte di Cassazione, che in una dibattuta sentenza risalente al 2019 ribaltò la decisione della Corte d’Appello torinese concernente la possibilità di portare il pranzo da casa. Così adesso i genitori che decidono di sottrarre i loro figli alla mensa della scuola possono scontrarsi con dirigenti intransigenti o impreparati, ed essere dunque costretti a intraprendere le vie legali. Questo è quanto sta accadendo per esempio ad Anzio, sul litorale romano, dove alcune famiglie dell’Istituto comprensivo “Anzio 1” si sono organizzate per riuscire a ritirare i propri figli dalla mensa dell’istituto comprensivo del Comune.

La “protesta del panino”

I genitori non si erano mai mostrati particolarmente entusiasti del servizio, lamentandone la scarsa qualità. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è però stata un insetto trovato all’interno di un pasto a inizio marzo. Frustrati dallo scarso riscontro delle precedenti segnalazioni, hanno deciso di mettere in atto una singolare protesta: per un giorno, oltre 200 bambini si sono presentati a scuola con un panino, disdicendo il pasto fornito dalla mensa. Non contente, alcune famiglie hanno poi deciso di rivolgersi all’avvocato Giorgio Vecchione, esperto in materia, per presentare un’istanza di diffida. I primi sono stati i genitori di un alunno, affetto da ipoglicemia, e dunque tenuto a seguire un regime alimentare particolarmente curato.

Un quadro frammentato

Presto, però, sono stati seguiti dalle famiglie di altri compagni. Adesso intere classi stanno decidendo di optare per i pranzi autogestiti. Dopo le iniziali resistenze della scuola, le famiglie affiancate dal legale sono riuscite a ottenere la disdetta. E a breve, ha assicurato la scuola, il tema dell’autorefezione verrà trattato nel Consiglio d’Istituto con la speranza di approvare un apposito Regolamento. Un epilogo virtuoso e non scontato: «Mi sono occupato di situazioni analoghe in tutto il Paese. Negli ultimi anni ho seguito una sessantina di realtà scolastiche, dal Friuli-Venezia Giulia alla Campania», spiega a Open l’avvocato Vecchione.

Gli ostacoli

Le famiglie solitamente scelgono di rinunciare alla mensa principalmente per tre motivi: il costo del servizio (spesso decisamente oneroso), la sua scarsa qualità e la questione di principio legata alla libertà di scegliere cosa mangiare. «Eclatanti sono i casi dei bambini vegetariani. Non potendo consumare la carne prevista nel menu, spesso si vedono scolare nel piatto un barattolo di ceci o di fagioli. E finiscono a mangiare solo pane», spiega ancora il legale. Quando però i genitori decidono di risolvere il problema alla radice, preparando per il bambino dei pasti appositi, possono iniziare nuovi problemi. «A Milano, per esempio, un singolo bambino aveva rivendicato questa possibilità e gli era stato riservato un trattamento durissimo. È stato messo a mangiare da solo il suo pranzo domestico nello sgabuzzino dove vengono tenute le scope, di fronte al quadro elettrico».

L’isolamento

La Lombardia, infatti, in un primo momento aveva negato la possibilità di sottrarsi alla mensa scolastica. C’era voluto l’intervento del Consiglio di Stato, in sede cautelare di appello, per imporre alla scuola di accogliere il bambino nel refettorio. L’isolamento dei minori che seguono una dieta a parte è un problema legato alla responsabilità dei docenti che dovrebbero vigilare nelle pause pranzo. Il rischio è che un bambino condivida la sua merenda preparata da casa con il suo compagno, e poi quest’ultimo si senta male: ne risponde l’insegnante. «Però è anche vero che questa iper-attenzione al momento del pranzo cozza con quanto avviene tipicamente durante la ricreazione, che per i più piccoli è un momento di libertà assoluta», obietta l’avvocato. La prudenza è insomma astrattamente necessaria, ma c’è il rischio che nella pratica diventi strumentale alla difesa del giro economico lucrativo per ditte e istituti.

Le proteste

Non ovunque, tuttavia, la situazione è così ostile: nel tempo si sono moltiplicate le proteste e le soluzioni. «Nasce tutto a Torino, con una prima storica sentenza della Corte d’Appello: ora la possibilità dell’autorefezione è riconosciuta praticamente ovunque nel Comune. A Venezia il caso di un singolo bambino ha portato l’intera città ad adottare una linea morbida, consentendo agli alunni di portare il loro pasto da casa. Solo a Guidonia, nel 2019, ci sono stati ricorsi in tre istituti diversi nella città». Il Tar del Lazio, spiega ancora l’avvocato, è assolutamente favorevole alle istanze delle famiglie, così come quello della Campania.

Le lacune

Ma il quadro è disomogeneo sul territorio. Lo scorso ottobre, per esempio, i genitori della Scuola Primaria di primo grado “Rodari” di Catanzaro erano stati costretti a scrivere una lettera aperta al sindaco della città per poter evitare i «costi quotidiani spropositati» della mensa, optando per i pasti domestici. Anche a Villasanta, in provincia di Monza e Brianza, i genitori erano andati su tutte le furie a causa di un’informativa pubblicata sul sito del Comune che aveva proibito di «introdurre e consumare nei refettori scolastici pasti/alimenti non prodotti dal gestore del servizio». E questo nonostante qualche mese prima una sentenza del Tar avesse di fatto dato l’ok al consumo della “schiscetta”. «Il problema – conclude Vecchione – risiede nell’impreparazione che spesso ha l’apparato burocratico scolastico, che non è orientato dal Ministero a recepire qualcosa di cui si parla ormai da anni».

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