Concordato preventivo biennale, i dubbi sul patto con il Fisco: i nodi da sciogliere e l’incognita Pil
Cosa cambia per le partite Iva che decidono di cambiare regime? Un errore nella compilazione del modello Isa nel 2023 che effetto avrà sull’adesione al piano? I debiti tributari dei soci nelle società di persone preclude l’applicazione del piano? E ancora: le stime sul Pil per il 2024 al ribasso rispetto a quelle di pochi mesi fa che impatto avranno sulle scelte dei contribuenti? Sono tanti, e tutti da sciogliere, i nodi applicativi sul Concordato preventivo biennale, la misura del governo che, ricevuta la delega sulla riforma fiscale, punta a finanziare una riduzione delle tasse con un patto tra cittadini e fisco. Per aderire, imprese e partite Iva con redditi fino a 5 milioni di euro dovranno avere un Indice Sintetico di Affidabilità fiscale (Isa) pari a 8 o superiore – anche se il governo ha ampliato la platea. E dovranno accettare il reddito proposto dal Fisco per il biennio 2024-2025, “maggiorato” rispetto a quello attualmente dichiarato secondo le valutazioni del software che sarà messo a disposizione dei contribuenti entro il 15 giugno. Il successo della misura dipenderà da quante partite Iva e imprese parteciperanno – e per questo sono stati aggiunti dei correttivi per incentivare l’adesione – e sul volume aggregato del nuovo reddito, sul quale verranno pagate più tasse. Le aziende dovranno quindi ricevere vantaggi tangibili per aderire convintamente: e quindi il maggior reddito proposto dal Fisco dovrà essere ben calibrato, con un controllo dei bilanci più soft rispetto a chi deciderà di rimanerne fuori. C’è poi un altro aspetto: la contrazione del Pil all’1% anziché 1,2 nel 2024 1,2% anziché 1,4 nel 2025. Quante aziende saranno disposte a pagare più tasse, dichiarando un reddito maggiore rispetto al passato, se temono una riduzione del volume di affari nel 2025
I 10 nodi
Il Sole 24 ore mette in fila i dieci chiarimenti necessari, secondo commercialisti e altri professionisti, affinché la norma sia chiara e i contribuenti possano essere invogliati ad aderire. Secondo il quotidiano, non è chiaro come ci si debba comportare in caso di cambio di regime – da forfettario a ordinario o viceversa – nel biennio oggetto del Concordato, e suggerisce che la soluzione potrebbe essere una irrilevanza della questione. Stessa cosa vale per i mutamenti di status, sempre legati a regimi opzionali. Il Dlgs 13/2024 afferma poi che solo la cessazione o la modifica dell’attività esercitata rappresenta ipotesi di conclusione anticipata del Concordato, cosa fare quindi al verificarsi di una causa di esclusione ai fini Isa? Il Cpb rimane valido? Se invece il contribuente commette un errore nella compilazione del modello Isa, sembrerebbe che l’unico criterio sia che la comunicazione inesatta non deve determinare un minor reddito o valore netto della produzione oggetto del concordato per un importo superiore al 30 per cento. Sull’adesione al Cpb, secondo il quotidiano è sufficiente che la scelta sia accettata dalla società, e non da tutti i soci. Su questo stesso dualismo, sorgono dubbi in merito a eventuali debiti pendenti con il Fisco: solo la società non deve avere pendenze, o anche i singoli soci? Non appare poi logicamente giustificabile la disparità di trattamento prevista in merito alla decadenza dal Cpb: senza condizioni se viene presentata una dichiarazione integrativa con modifica al reddito, mentre nei casi di accertamento vi è una soglia di tolleranza del 30 per cento. Ancora: secondo l’Associazione degli enti previdenziali privati, il reddito concordato è irrilevanti ai fini previdenziali, mentre la norma dice l’opposto. Cosa succede poi se la causa di cessazione dal concordato riguarda un solo anno del biennio? Come viene regolato l’altro? Infine, i professionisti chiedono chiarimenti su tutte le operazioni straordinarie.
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