Cadaveri mutilati, lo scandalo del cimitero di Roma. Il parente di un defunto: «Non capii perché dovevo pagare. Ma distrutto dal dolore mi fidai»
Si può decidere di spostare un cadavere dal loculo all’ossario quando la decomposizione ha compiuto i suoi effetti, vale a dire quando di un corpo sono rimaste solo le ossa. Chi valuta il ricorso alla cosiddetta «estumulazione» lo fa generalmente per permettere a due congiunti di essere sepolti insieme. Per eseguire la procedura devono passare almeno 20 anni, ma prima che scada il periodo di affitto del loculo ne passano solitamente 30. Nel cimitero romano di Prima Porta, tuttavia, il procedimento sarebbe avvenuto con anticipo e in modo abusivo, grazie al legame fra alcuni dipendenti Ama e i gestori delle agenzie di pompe funebri. Sono accusati di truffa e vilipendio di cadavere: avrebbero mutilato i corpi in maniera brutale, spezzando le loro articolazioni e chiedendo indebitamente soldi ai familiari dei defunti. «Lì per lì non capii perché dovevo pagare. Ma distrutto dal dolore mi sono completamente affidato a loro», ha raccontato oggi in aula uno di loro, chiamato a testimoniare davanti al Tribunale di Roma.
Il racconto
Il giro di affari sembra infatti costruito sulla vulnerabilità dei familiari delle persone defunte, o sulla loro ignoranza: acconsentivano ai pagamenti perché inconsapevoli della prassi da seguire in questi casi. E ignari di quello che avrebbero subìto i cadaveri. «Mia suocera era appena morta, l’agenzia funebre mi propose di unire la salma a quella di suo marito. Mi dissero che avrebbero pensato a tutto loro: avrei dovuto solo pagare una piccola differenza», ha raccontato oggi il teste. Secondo l’accusa, il corpo di suo suocero (che «non aveva ancora assunto lo stato di mineralizzazione previsto dalla normativa vigente») sarebbe stato «mutilato con vari arnesi». Un episodio che avrebbe visto nella veste di istigatore Marcello P., titolare di un’agenzia di onoranza funebri. Ma c’è anche chi si oppose a questo sistema.
La proposta rifiutata
Come Francesco G., anche lui titolare di un’agenzia di pompe funebri, che oggi ha parlato in aula. Nel febbraio 2020 ha infatti gestito la cremazione di un corpo. Ha raccontato che il caposquadra di un gruppo di operai dell’Ama gli propose di optare per lo spostamento dei resti nell’ossario, offrendogli la possibilità risparmiare circa 200 euro. «Mi opposi perché la salma si presentava intatta, non si era decomposta», ha spiegato al giudice. Ma c’è anche chi non si è fatto fermare dalle condizioni dei cadaveri. A processo sono infatti finiti in 16, tra responsabili di società di pompe funebri e dipendenti dell’azienda capitolina per l’ambiente e la gestione dei rifiuti. La stessa Ama si è costituita parte civile, facendo riferimento a un «gravissimo danno economico, diretto e indiretto, oltre che d’immagine, che gli imputati hanno arrecato alla società, cui compete in via esclusiva il servizio di gestione cimiteriale svolto in regime di privativa, regolato dal contratto di servizio con Roma Capitale». L’avvocato Giuseppe Di Noto, che assiste la municipalizzata, ha parlato di «fatti raccapriccianti» e di «condotte di una gravità inaudita».
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