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Il padiglione di Israele resta chiuso alla Biennale di Venezia «fino al cessate il fuoco e alla liberazione degli ostaggi»

Dopo le polemiche e tentativi di boicottaggio contro la partecipazione israeliana alla rassegna, la decisione del curatore e dell'artista Ruth Patir: «Sento che il tempo dell'arte si è perso e ho bisogno di credere che tornerà»

Il padiglione di Israele alla Biennale di Venezia, che doveva aprire oggi, resterà chiuso fino a quando non sarà raggiunto un accordo per il cessate il fuoco a Gaza e sulla liberazione degli ostaggi nelle mani di Hamas. La decisione dei curatori e dell’artista Ruth Patir è stata comunicata stamane con un cartello affisso all’esterno della struttura. L’esposizione non verrà cancellata «ma è una scelta di solidarietà con le famiglie dei prigionieri e la grande comunità di Israele che chiede il cambiamento», spiega Patir al Guardian. «Sento che il tempo dell’arte si è perso e ho bisogno di credere che tornerà», si legge sul suo profilo Instagram. «Mi oppongo fermamente al boicottaggio culturale – continua – ma dal momento che non credo ci siano risposte corrette, e posso fare ciò che posso solo con lo spazio che ho, preferisco far sentire la mia voce per coloro che sostengo, per il cessate il fuoco e riportare le persone a casa ora. Non possiamo più sopportarlo».

Nonostante la chiusura, attraverso i vetri delle finestre del padiglione, ai Giardini della Biennale, è possibile intravedere all’interno il progetto “Keening”, ma l’intero lavoro “(M)otherland” «aspetta dentro – precisa l’artista – il momento in cui i cuori potranno ancora una volta essere aperti all’arte». In un’intervista al New York Times, Tamar Margalit e Mira Lapidot, che insieme a Ruth Patir hanno curato l’opera, fanno inoltre sapere che Israele (sponsor finanziario della metà del padiglione) non è a conoscenza della protesta. «L’arte può aspettare, ma le donne, i bambini e le persone che vivono quell’inferno, al contrario, no», affermano. La presenza di Israele alla Biennale di Venezia era stata fin da subito, e da più parti, criticata: oltre 23mila artisti e curatori avevano infatti firmato una lettera dove chiedevano l’esclusione del suddetto padiglione, richiamando il precedente del Sudafrica al quale – tra il ’68 e il ’93 – fu vietato di partecipare per protesta contro l’apartheid.

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