I testi che lo inchiodano, le scuse mai fatte, la bimba di 4 anni che ha rischiato. Ecco perché i pm vogliono a giudizio Pozzolo per lo sparo di Capodanno
«Perché mi hai sparato? Perché l’hai fatto? Perché non ti preoccupi e non fai nulla, pezzo di m…? Perché, figlio di p…?». Erano passate da poco le due del mattino nella sede della pro loco di Rosazza, dove si stava svolgendo il veglione di Capodanno organizzato dal sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro (FdI). Venti minuti prima nel trambusto della festa era esploso un colpo dalla mini-pistola del deputato FdI Emanuele Pozzolo, passato di lì molto dopo la mezzanotte per fare un brindisi con l’amico sottosegretario. Il colpo aveva ferito non gravemente alla coscia Luca Campana, genero dell’allora caposcorta di Delmastro, Pablito Morello, che aveva assistito alla scena. Campana aveva sentito una fitta alla gamba, corso in bagno si era tirato giù i pantaloni e aveva visto il buco nella gamba causato dal proiettile, terrorizzato: temeva di morire. È svenuto, quando è riuscito a riprendersi, lo hanno sistemato su un tavolo trasformato in barella per portarlo all’esterno venendo incontro all’ambulanza che era stata chiamata. Lì, sulla lettiga di fortuna Campana uscendo ha incrociato lo sguardo assente di Pozzolo, sfogando la sua rabbia. Campana si sarebbe atteso almeno le scuse del deputato di FdI per quello sparo accidentale. Non sono mai arrivate. Invece la vittima si è scusata con lui per gli insulti di quella notte.
Le 156 pagine di testimonianze raccolte su quella notte
L’episodio è raccontato a carabinieri e magistrati inquirenti da quasi tutti i testimoni di quella drammatica serata ed è più volte ripetuto nelle 156 pagine di allegati depositati insieme alla chiusura delle indagini con cui si preannuncia di fatto il rinvio a giudizio di Pozzolo per quella notte della mini-pistola che ha terremotato a inizio anno il partito di maggioranza del governo di Giorgia Meloni. Il fascicolo oggi è pubblico e raccoglie le testimonianze di tutti i presenti a quel veglione di Capodanno raccolte quella notte dai carabinieri arrivati subito dopo lo sparo, il mattino dopo al pronto soccorso e in caserma e poi ripetute dagli stessi interrogati dalla procura della Repubblica di Biella nelle prime settimane di gennaio. Versioni che in gran parte coincidono con solo qualche particolare differente non essenziale, e non lasciano molti dubbi agli inquirenti.
Il vanto per quella pistola e il colpo partito per dimostrare che era vera
Secondo i testimoni Pozzolo quella sera era arrivato alla festa (cui era passato per un saluto insieme ai familiari prima del cenone) poco prima dell’una del mattino in stato piuttosto euforico. Tutti i testi meno uno ritengono che fosse piuttosto “brillo” per l’alcol bevuto. Salutato Delmastro e i pochi altri conosciuti, il deputato di FdI avrebbe aggiunto altri brindisi a quelli già fatti nella sua abitazione con i familiari. In un video girato da una ospite, i cui fotogrammi sono allegati al fascicolo, Pozzolo appare con un bicchiere in mano e un piatto nell’altra mano in un angolo del salone tutto solo. Secondo il racconto quasi univoco dei testi a un certo punto, circondato da tre quattro persone, fra cui sicuramente la vittima, Campana, il caposcorta di Delmastro, Morello, e suo figlio Maverick, Pozzolo tira fuori dalla tasca destra del pantalone la famosa mini-pistola. La mette senza dire una parola sul palmo della mano, immaginando di suscitare l’ammirazione e la curiosità degli astanti. Per farla ammirare meglio la mette sul tavolo. Ma la reazione di chi ha davanti non è quella immaginata. «Cos’è? Un accendino?», chiede il caposcorta di Delmastro. Qualcun altro borbotta che è finta. Pozzolo la riprende in mano, tiene la canna con la destra e con la sinistra tenta di farla vedere meglio. Secondo la vittima, Campana, Pozzolo avrebbe alzato e abbassato il cane per dimostrarne l’autenticità. Ma Campana, si mostra ancora più scettico: «È finta». Allora – il racconto è della stessa vittima davanti ai pm – «mi è sembrato che lui volesse aprire il tamburo ma non riuscendoci, poggiava la pistola sul tavolo, come per far leva, e proprio in quell’istante ho sentito partire un colpo».
Il tempo perso per la testimonianza discordante della compagna della vittima
Se l’inchiesta è durata un pizzico più di quel che ci si sarebbe attesi di fronte a testimonianze così concordanti è perché quella drammatica notte una sola divergeva da tutte le altre. Ed era proprio quella di Valentina Morello, figlia del caposcorta di Delmastro, compagna della vittima e madre dei suoi due figli. L’interrogatorio si è svolto la notte fra il 31 dicembre e il primo gennaio alle 4 e 24 nel pronto soccorso dove era stato portato Luca Campana. Ai carabinieri Valentina aveva raccontato: «Intorno alle ore 1 e 15 circa un uomo che non conosco, presente alla festa, di circa una trentina d’anni, vestito sportivo con dei jeans chiari e una felpa di colore blu, estraeva una pistola, inizialmente appoggiandola ad un tavolo, attirando l’attenzione di una decina di persone che si trovavano accanto a lui. Queste 10 persone hanno iniziato a maneggiare l’arma, sempre alla presenza del proprietario». Era la sola teste a dire che l’arma era passata in altre mani, ed era la compagna della vittima. Una versione che combaciava con la sola data qualche ora più tardi dallo stesso Pozzolo, secondo cui la pistola era caduta dalla sua giacca e raccolta da altri che passandosela di mano in mano avevano fatto partire il colpo. Nessun altro però confermava questo particolare e la stessa Valentina riascoltata il 4 gennaio in procura di Biella ritrattava la versione data: «Non posso confermare, non ricordo di averlo visto in modo diretto, credo di essermi suggestionata ascoltando le affermazioni di chi chiedeva se fosse vera o finta quella pistola» Questa incertezza ha però convinto i pm a chiedere alla scientifica una verifica sulle impronte digitali esistenti sulla pistola, che ha fatto allungare un po’ i tempi. Alla fine è stato accertato che le uniche impronte esistenti erano quelle di Pozzolo e del caposcorta di Delmastro che dopo la sparo ha messo in sicurezza l’arma.
Il pianto disperato della mamma della bimba di 4 anni sulla traiettoria di quel proiettile
Quella notte però c’è stato un altro particolare drammatico che fino ad ora non era emerso. Nella stanza in cui è risuonato lo sparo, quasi sulla traiettoria del proiettile, c’era anche una bambina di 4 anni, Altea. È la figlia di Davide Eugenio Zappalà, assessore ai lavori pubblici del comune di Biella, e di sua moglie Rania Abdelsalam, ricercatrice della Sapienza nata in Arabia Saudita. Papà Davide vista Altea sfinita dall’ora tarda l’aveva portata in braccio nel salone principale a due passi dall’uscita della pro loco per farla dormire su alcune sedie messe lì, vicino a Pozzolo, non immaginando il pericolo che la bimba avrebbe corso. È lo stesso Zappalà a raccontare ai magistrati il dramma sfiorato: «Specifico che poco dopo lo sparo mia moglie ha subito cercato mia figlia, poiché preoccupata. Inizialmente ho visto Altea immobile, motivo per il quale mia moglie temeva che ad essere stata colpita fosse lei. Mia moglie, infatti, ha pianto in quel frangente, avendo temuto il peggio». Alla bimba per fortuna non è accaduto nulla. Ma anche la mamma Rania ha fornito una delle testimonianze fondamentali sul comportamento di Pozzolo dopo l’incidente. Prima immobile su una sedia in “stato catatonico”, poi pronto ad andarsene via per non incontrare i carabinieri che stavano arrivando sul posto, e fermato solo in extremis dal figlio del caposcorta di Delmastro: «Tu resti qua e racconti quel che è accaduto ai carabinieri».