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Il re degli enologi italiani Riccardo Cotarella e la lite furiosa con il rabbino. Poi la scoperta a Betlemme del vino fatto anche oggi da ebrei, cattolici e musulmani

21 Aprile 2024 - 17:43 Franco Bechis
L'enologo di fiducia di molti vip racconta a Open la nascita di un'amicizia speciale e dei vini pregiati di una terra spaccata in due: «Ma lì si lavora tutti insieme»

Quel giorno Riccardo Cotarella, il re degli enologi italiani, era a Bordeaux a visitare una delle cantine di cui era consulente e stava assaggiando dalle botti i diversi vini lì prodotti. Mentre apriva un rubinetto per il nuovo assaggio ha sentito un urlo disperato: «Noooo!». Ed è apparso avvolto nella bandiera israeliana un rabbino furioso, perché avendo toccato quella botte Cotarella aveva distrutto 200 ettolitri di vino Kosher, diventato in quell’istante un vino qualunque. Da quella litigata poi è nata una grande amicizia fra l’enologo italiano e il rabbino, tanto è che Cotarella oggi produce anche un vino Kosher controllato solo dall’amico che ogni tanto scende da Parigi nella sua azienda di Montecchio in Umbria dove viene prodotto fra le altre cose il Montiano.

La scoperta dell’enologo di fiducia di D’Alema, Vespa e Sting

Grazie a quella improvvisa amicizia Cotarella – da anni presidente di Assoenologi ed enologo di fiducia di molti vip sbarcati nel settore (Massimo D’Alema, Bruno Vespa, Sting fra i tanti) – è diventato anche consulente di una delle più particolari aziende vitivinicole della Giudea: parte in territorio di Israele, parte oltre il muro in Cisgiordania. Si chiama Cremisan Winery, ed è nata ancora a fine Ottocento all’interno di un monastero bizantino del VII secolo dopo Cristo, dove a fondare l’azienda vitivinicola fu don Antonio Belloni, grande amico di don Bosco e missionario salesiano in Terra Santa. L’azienda è ancora gestita dai salesiani, ma il 75% dei terreni su cui sono coltivate le viti è dei contadini dell’area, in parte palestinesi, in parte israeliani. Riescono a convivere tutti nella stessa azienda, dove lavorano ogni giorno fianco a fianco cattolici, cristiani protestanti, ebrei e musulmani. E affrontano la fatica comune per arrivare al lavoro, con le vigne divise dal muro di separazione, e i posti di blocco con soldati israeliani armati da dovere attraversare quotidianamente.

La Cremisan che sta in piedi anche dopo il 7 ottobre e unisce tutti con le sue uve

Si è temuto per la tenuta di quella comunità dopo quello che è accaduto in Israele il 7 ottobre scorso e quel che da allora sta accadendo a Gaza e in parte anche in Cisgiordania. Anche se i tempi sono difficili e la convivenza indubbiamente più problematica, la Cremisan Winery è riuscita a tenere attraversando indenne tutti questi mesi. E continua produrre i suoi vini che per la prima volta furono apprezzati anche al Vinitaly. I suoi prodotti vengono da vitigni diversissimi fra loro coltivati al di qua e al di là del muro: come le uve di Cabernet Sauvignon, Merlot, Petit Verdot, Baladi e Syrah che miscelate danno una delle bottiglie di punta: come lo Star of Bethlehem rosso, o come il Baladi, altro vino rosso che viene dall’omonimo vitigno originario della Palestina, coltivato solo nella valle di Cremisan e a Hebron. Esattamente come il Dabouki, vino bianco dall’omonimo vitigno esistente solo nei dintorni di Betlemme e a Hebron. Non mancano vista la particolarità della azienda i vini da messa: prodotti sia per i cattolici che per gli ortodossi che ne richiedono una differente qualità.

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