Il Caporalato delle case a Torino, mille euro per una brandina: «Chi accetta di vivere così non ha alternative»
Case fatiscenti, affitti riscossi con metodi poco trasparenti, sfruttamento (abitativo). Il fenomeno dei “palazzinari” che affittano appartamenti precari agli stranieri nelle varie città italiane è cresciuto nel tempo. A Torino, scrive la Repubblica, una brandina sistemata in cucina può costare anche 400 euro al mese, più le spese di luce e acqua. All’interno di questi appartamenti, nel centro del capoluogo piemontese, si vive quasi in venti dove normalmente c’è spazio per una sola famiglia. Chi accetta di vivere in queste condizioni «non ha alternative», spiega la lega Alice Pasquero dell’Asgi (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione) al quotidiano. «Parliamo di famiglie vulnerabili economicamente – continua l’avvocata -, spesso stranieri che fanno fatica ad avere i documenti e di conseguenza non trovano un contratto di lavoro e quindi nemmeno un affitto regolare». Anche perché nel mercato privato «non si affitta agli stranieri – sottolinea Pasquero -. Soprattutto agli africani, il colore della pelle è un ostacolo».
Nessuno denuncia
L’associazione Arteria di Torino, che cerca con ogni mezzo di prevenire il fenomeno, chiama questo sistema «caporalato abitativo». Nonostante l’assenza di una definizione giuridica, tale fenomeno «ha dinamiche simili al caporalato lavorativo. Si lucra sul fatto che ci sono persone vulnerabili», precisa un operatore sociale. Una situazione, questa, che peggiora di anno in anno poiché nessuno denuncia. Tutti hanno paura di perdere quell’unica soluzione che, con ogni probabilità, permette agli inquilini di avere un indirizzo da mettere sui documenti. E a guadagnarci sono i proprietari di immobili che difficilmente troverebbero spazio nel mercato tradizionale. «Il problema delle residenze è reale per molti, tanto che esiste un vero e proprio mercato nero delle residenze», spiegano al giornale. «C’è chi è disposto a pagare mille euro – continuano – per poter dichiarare la propria residenza in uno stabile». Anche perché senza residenza «non si ottiene la riduzione della retta dell’asilo nido, non si accede al servizio sanitario ed è sempre più difficile avere un contratto regolare di lavoro e un permesso di soggiorno», concludono gli operatori.
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