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«Voglio solo far l’amore con te»: il tentato stupro dell’agente al detenuto nel carcere Beccaria di Milano

giovani detenuti picchiati istituto cesare beccaria violenza sessuale 1
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L'ordinanza del Gip sugli uomini della Penitenziaria: le aggressioni nell'ufficio del capoposto perché senza telecamere. E gli insulti razzisti

La tentata violenza sessuale nei confronti di Amin Hachouch la racconta lui stesso al pubblico ministero che indaga sugli agenti torturatori all’IPM Cesare Beccaria di Milano. L’episodio fa parte di quelli che hanno fatto finire in arresto 13 agenti di polizia penitenziaria con le accuse di tortura, maltrattamenti e falso. Nell’ordinanza del Giudice delle Indagini Preliminari Stefania Donadeo a pagina 58 parte il racconto del ragazzo. Che in una serata di fine novembre si sveglia perché uno degli agenti gli mette una mano sul sedere. E gli sussurra: «Stai tranquillo, voglio solo far l’amore con te». Hachouch non conosce il nome del poliziotto ma reagisce. Colpisce a pugni l’operatore, lo allontana, e il trambusto risveglia il compagno di cella. Che lo aiuta a cacciare l’agente.

L’ufficio del capoposto

Il verbale risale al 12 gennaio 2024. «Io stavo dormendo in mutande e mi ero coperto con il lenzuolo perché c’era molto caldo. Appena mi sono reso conto di quello che stava accadendo, ho detto all’assistente “cosa vuoi”. E lui mi ha detto “stai tranquillo, voglio solo far l’amore con te”. Io ho reagito in modo violento e l’ho colpito con diversi pugni. A quel punto si è svegliato Salim che mi ha detto di smetterla». L’altro detenuto confermerà a verbale le accuse di Amin. Le violenze al Beccaria sono avvenute dall’autunno 2023 al marzo scorso. Coinvolti una dozzina di ragazzi minorenni o appena maggiorenni. Gli agenti sotto inchiesta sono in totale 25. Tra gli otto sospesi il comandante Francesco Ferone. La maggior parte delle violenze è avvenuta nell’ufficio del capoposto, ovvero in una zona dove non c’erano telecamere.

L’aggressione

Nell’ordinanza si racconta anche di un’altra aggressione subita da Hachouch. La storia comincia quando Salim Mahmoud chiede un medicinale. Poco dopo Hachouch lo sente urlare: «Amin, mi stanno picchiando, stai attento che vogliono picchiare pure te». Subito dopo per le scale salgono dieci agenti. Uno di loro apre la finestrella del blindo e chiede ad Hachouch di avvicinarsi perché gli deve dire qualcosa. Poi gli spruzza spray al peperoncino negli occhi. A quel punto sei agenti entrano nella cella e lo aggrediscono a calci e pugni. Gli dicono: «Sei un figlio di puttana, tua madre è una troia, sei un clandestino, ti faccio vedere io come fare il figlio di puttana». Poi lo portano in cella di isolamento. Uno di loro lo colpisce a cinghiate sui genitali. Poi lo lasciano dentro. Il mattino dopo altri due agenti lo svegliano e lo prendono a schiaffi e pugni: «Sei un bastardo. Sei un arabo zingaro. Noi siamo napoletani, voi siete arabi di merda, sei venuto ieri…».

Gli stranieri pestati a sangue

Una delle madri delle vittime ha raccontato che gli agenti di polizia penitenziaria facevano differenze tra detenuti italiani e stranieri. Da lei è partita la segnalazione che ha fatto scattare l’indagine della procura. «Un ragazzo che ho conosciuto è stato chiuso in una stanza e massacrato di botte. A colpire era, spesso, lo stesso agente, noto a tutti in carcere proprio per la frequenza e il modo in cui alzava le mani. Le vittime erano soprattutto ragazzi che durante i colloqui non avevano nessuno con cui parlare, stranieri non accompagnati ad esempio. Gli agenti non vedevano madri attente o familiari ai quali i detenuti potessero raccontare le violenze», dice.

«Mio figlio stuprato»

La donna racconta che nessuno ha mai raccontato nulla: «Nemmeno quando mio figlio è stato stuprato da un gruppo di altri ragazzi. L’agente presente, quando ha capito la situazione, se n’è andato lasciando che lo aggredissero, trovando tutto il tempo per oscurare le telecamere con sedie e oggetti vari. Le guardie sono arrivate solo mezz’ora dopo, quando la segnalazione di un giovane estraneo al gruppo li ha costretti a intervenire. Appena ho scoperto l’episodio sono corsa al Beccaria chiedendo di parlare con quello che credo fosse il comandante della polizia penitenziaria: “Signora cosa vuole che sia”, mi ha detto. Lui era persino peggio degli agenti perché nascondeva tutto quanto. E il giorno della violenza non gli ha nemmeno fatto fare una telefonata a casa».

L’ex detenuto

Un ex detenuto ha invece raccontato al Corriere della Sera le violenze notturne: «Una volta sono entrati quattro assistenti dentro la cella vicina alla nostra, noi sentivamo i rumori. Hanno ammanettato e picchiato un ragazzo, l’hanno spaccato di calci e di pugni, all’epoca lì non c’erano ancora le telecamere. Noi ci siamo rannicchiati tutti nell’angolo del nostro letto, in silenzio, era il suo turno. Un’altra volta hanno fatto un occhio nero a me, mi hanno preso a calci in tre e dato uno schiaffo che non ci sentivo più da un orecchio perché continuavo a chiedere l’accendino. Nessuno il giorno dopo mi ha fatto domande». Poi spiega perché non ha denunciato: «Io non mi fido di nessuno, e nessuno si fida di me. Chi crede a un ragazzo pregiudicato? Le parole mie e dei miei amici rimanevano tra parentesi, non avevano molto valore, contavano le relazioni degli assistenti. E poi riuscivano a farti sentire che eri sbagliato tu. Arrivavi a pensare che avevano ragione a picchiarti perché eri una nullità».

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