Perché è saltato l’euro digitale al Parlamento europeo. Il relatore Berger: «Troppe domande irrisolte ma il nostro lavoro non andrà perso» – L’intervista
È slittata alla prossima legislatura la proposta di legge a cui stava lavorando il Parlamento europeo per l’introduzione dell’euro digitale, la valuta elettronica alternativa al contante su cui è al lavoro la Banca centrale europea. Da qualche anno l’istituzione guidata da Christine Lagarde sta mettendo a punto un proprio strumento pensato sia per rispondere alla diffusione delle criptovalute sia per fornire un’alternativa gratuita e pubblica ai grandi circuiti di pagamento – quasi sempre americani – come Visa e Mastercard. Alla plenaria del Parlamento europeo in corso questa settimana a Strasburgo, l’ultima prima delle elezioni, avrebbe dovuto tenersi un voto sulla proposta di legge per istituire un quadro normativo per l’euro digitale. Il dossier, invece, è stato accantonato fino all’inizio della prossima legislatura. «Le domande irrisolte erano troppe e il tempo a disposizione troppo poco. Per questo abbiamo deciso di posticipare la ricerca di una soluzione», spiega in questa intervista a Open Stefan Berger, eurodeputato tedesco del Ppe e relatore del provvedimento.
Perché il voto sull’euro digitale è stato rinviato alla prossima legislatura?
«La proposta della commissione è arrivata soltanto lo scorso anno, dopo la pausa estiva. Io ho potuto formulare la mia proposta solo a febbraio, due mesi fa, e non c’è stato tempo a sufficienza, anche perché si tratta di una materia complessa, con forti implicazioni per la società, l’economia e le banche. L’euro digitale solleva diverse problematiche, per esempio sotto l’aspetto della privacy o delle modalità di utilizzo. Non è stato possibile affrontarle tutte in così poco tempo».
Il lavoro fatto finora dal Parlamento andrà perso oppure si comincerà da dove si è lasciato?
«Il nostro lavoro non andrà perso, perché in Europa non è prevista la discontinuità legislativa. Il prossimo Parlamento analizzerà per certo la mia proposta e tutti gli emendamenti presentati dentro la commissione Econ. Dopodiché, sarà libero di prendere la strada che preferisce, ma di certo non partirà da zero. In ogni caso non credo che ci sia da preoccuparsi, perché la fase di sviluppo della Bce durerà ancora fino alla fine del 2025».
Quali sono state le difficoltà più grandi incontrate in questi mesi?
«Non sappiamo ancora che caratteristiche avrà l’euro digitale. La Bce lo sta ancora sviluppando, quindi non sappiamo se si tratterà di una tecnologia basata sulla blockchain o un’altra tecnologia. Come legislatore, per me è difficile fare una proposta di legge per una scatola nera».
Questo significa che dobbiamo aspettare altri due anni per avere la proposta di legge del Parlamento europeo?
«Non so quanto ci vorrà, ma il mio obiettivo è combinare le due cose, ossia far sì che la fine della sperimentazione della Bce coincida con la proposta di un quadro normativo. In fin dei conti, è il nostro dovere prevenire ciò che sta per venirci incontro e prepararci di conseguenza. Semplicemente, dico che è difficile fare le regole del gioco mentre è tutto ancora in evoluzione».
Torniamo per un attimo all’inizio. Cosa ha spinto Bce e Unione europea a lavorare all’euro digitale?
«Innanzitutto perché dobbiamo difendere la nostra sovranità e poi perché abbiamo bisogno di sviluppare nuove soluzioni nel settore dei pagamenti. L’idea iniziale era proprio quella di rispondere alla decisione di Meta di entrare nel mondo dei pagamenti. Giganti come Facebook hanno due miliardi di utenti, quindi potete immaginare cosa accadrebbe se gli iscritti decidessero di trasformare il loro denaro nella valuta rilasciata dalla piattaforma. In secondo luogo, il sistema dei pagamenti sta diventando sempre più digitale e non possiamo permetterci di non avere una soluzione di pagamento europea».
Che opinione hanno i diversi gruppi politici dell’euro digitale?
«Volendo semplificare, i partiti di destra prediligono l’uso del contante e quindi tendono a essere contrari. Quelli di sinistra invece tendono a essere più favorevoli, perché preferiscono la supervisione pubblica della Bce a quella delle banche private. Io stesso, se devo essere onesto, nutro alcune perplessità sul progetto. È importante capire bene vantaggi e svantaggi».
Quali sono le principali perplessità?
«Innanzitutto, se trasformi il denaro nel tuo conto corrente in euro digitali, quel denaro non sarà più nella disponibilità delle banche private ma della Bce. Questo processo è ciò che più preoccupa le banche, che temono una fuga dei depositi. Senza quel denaro a disposizione, potrebbero non avere i fondi necessari per fare i propri affari e sviluppare il proprio modello di business. Sarebbero costrette a rivolgersi alla Bce, che gli fornirebbe i fondi necessari a un costo più elevato rispetto a quello che di solito viene versato ai clienti per remunerare il denaro che lasciano sui conti correnti».
È per questo che la Bce ha ipotizzato un tetto di 2-3 mila euro all’importo che si potrà tenere nel portafoglio?
«Le banche vorrebbero un tetto di 500 euro, la Bce di 3mila. La mia proposta era di istituire un tetto dinamico e proporzionale: se hai più soldi, hai un tetto più alto a disposizione (e viceversa). Dobbiamo vedere qual è il terreno di compromesso».
Quali sono le preoccupazioni che sente più spesso da parte dei cittadini?
«In molti temono un controllo eccessivo sui modi in cui viene speso il denaro. In questo momento manca la fiducia da parte di diversi stakeholder e gruppi politici, e questo rappresenta un grande ostacolo verso il successo dell’euro digitale. Abbiamo molto lavoro da fare prima di poter creare un clima di fiducia nei confronti della nuova moneta digitale».
Quali sono invece i vantaggi per i cittadini? E soprattutto, perché qualcuno dovrebbe scegliere di pagare in euro digitale e non con una carta di credito?
«L’euro digitale offrirà la possibilità di pagare o scambiare denaro offline, cioè senza bisogno di internet, una modalità che lo rende molto simile al contante. Solo così può essere un’iniziativa di successo, anche perché le persone devono fidarsi del sistema di pagamento che stanno usando. Se pensano che la Bce li stia controllando, non useranno quel sistema».
Il portafoglio dell’euro digitale, a differenza di molti conti deposito, non genera interessi. Questo non rischia di essere un disincentivo?
«Se ci fossero interessi anche con l’Euro Digitale, tutti lo userebbero e le banche avrebbero davvero paura. È una questione aperta, tutto quello che possiamo fare è stabilire il quadro normativo. In fin dei conti, la Bce vuole essere sicura del fatto che sia un’istituzione pubblica, e non privata, a gestire i soldi. È questo il punto centrale, non tanto rendere i pagamenti più facili. L’euro digitale serve a mantenere la digitalizzazione in mani pubbliche».
Anche questa sembra essere una delle preoccupazioni più diffuse.
«Se abbiamo grandi gruppi politici, banche, economisti, uomini d’affari o semplici cittadini che hanno paura di questo progetto, non possiamo ignorarli. Per questo abbiamo dovuto posticipare la proposta di legge. Per far sì che l’euro digitale sia un successo, dobbiamo risolvere prima tutte queste faccende».
Quanto ci vorrà ancora per vedere l’euro digitale prendere forma?
«Minimo due anni, ma probabilmente anche di più».
La Cina sta premendo l’acceleratore sullo yuan digitale. L’Ue rischia di arrivare in ritardo?
«Non credo. Molte banche centrali stanno sviluppando progetti di valute digitali, ma non sono molto diffuse. L’Euro è una valuta molto forte. La cosa più importante oggi è lavorare a qualcosa che la maggioranza delle persone vede favorevolmente. Se arriviamo un anno prima o dopo, cambia poco».