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Il ritorno degli Ex-Otago con Auguri: «Alcune robe o le trovano nei nostri dischi o non le trovano da nessuna parte» – Video

28 Aprile 2024 - 15:55 Gabriele Fazio
Auguri è il settimo album in studio della band genovese (dopo 5 anni di progetti individuali)

La loro assenza di cinque anni non è stata silenziosa, individualmente gli Ex-Otago hanno sviluppato progetti paralleli, tutti tra l’altro interessantissimi, ma è un’assenza che comunque si è fatta sentire. Ora però gli Otaghi sono tornati, il disco si intitola Auguri ed è già acclamato da pubblico e critica. «In questa società – spiegano ai microfoni di Open – prendersi del tempo è un po’ una mezza rivoluzione, purtroppo. Questa pressione di dover fare i dischi per forza in pochissimo tempo, di dover fare le hit, devi sempre fare più numeri, sempre fare più follower, sempre fare più like. Non siamo gente che riesce a stare dentro a questo gioco». Alla fine di questo tempo viene fuori dunque Auguri, una parola generica che può venire dal cuore e potrebbe essere rivolta al proprio pubblico, al paese intero, a chiunque ne possa sentire il bisogno, oppure può essere sarcastica, l’augurio mentre la nave affonda, mentre qualcosa di noi affonda. L’unica certezza facilmente riconoscibile è l’autenticità della band genovese che è riuscita a stare in silenzio, nonostante la pressione discografica, finché non ha avuto qualcosa da raccontare. Nel disco la narrazione di Maurizio Carucci, Simone Bertuccini, Olmo Martellacci e Rachid Bouchabla, a questo proposito, appare chiara: c’è una sorta di smarrimento che sta condizionando un’intera generazione, sotto tutti i punti di vista possibili, una navigazione senza punti di riferimento che crea un particolare disagio, un certo preoccupante spegnimento. Auguri parla fondamentalmente della ricerca di un senso nelle cose, come in Non credo più a niente, di amori persi e ritrovati (Mi sei mancata e John Fante), di momenti di consapevolezza (Soli) capaci di risvegliare una voglia di vivere incontenibile (Esseri Speciali e Forse non si può). Una ricerca che andava raccontata, consci di non fare «i numeri dei grandi big» ma, come spiegano ancora a Open, «Molte persone sono consapevoli che alcune robe o le trovano nei nostri dischi o non le trovano da nessuna parte».

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