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«Pestaggi, abusi, privazione del sonno, torture»: Haaretz racconta l’inferno di un prigioniero filo-Hamas nelle carceri israeliane

30 Aprile 2024 - 18:18 Ugo Milano
Amer Abu Halil è stato detenuto nella prigione di Ketziot, nel Negev, dove le violenze sono diventate la norma in seguito all'attacco dei miliziani palestinesi del 7 ottobre

Dal suo primo arresto, nel 2019, ha trascorso un periodo cumulativo di 47 mesi in carcere israeliano, la maggior parte dei quali in detenzione amministrativa, senza processo. Tra le mura della prigione di Ketziot, nel Negev, ha vissuto il suo inferno in terra dal 7 ottobre scorso, quando Hamas ha attaccato Israele con l’attacco a sorpresa che ha poi portato all’offensiva dello Stato ebraico sulla Striscia di Gaza. È la testimonianza di Amer Abu Halil ad Haaretz, quotidiano israeliano, in cui ha raccontato le violenze che lui e gli altri detenuti hanno subito in questi mesi. Picchiati, percossi, affamati, privati del sonno, attaccati dai cani, umiliati. Abu Halil era stato nuovamente arrestato i l 4 dicembre 2022 per la sua vicinanza – e quella dei suoi familiari – ad Hamas. Rinvio dopo rinvio, di 4 mesi in 4 mesi, il 7 ottobre 2023 era ancora in carcere, il rilascio previsto per novembre. Poi l’attacco di Hamas, i razzi palestinesi che centrano anche la prigione, e le violenze che diventano sistemiche. I termini di tutti i prigionieri di Hamas per i quali era previsto il rilascio – tra i quali Abu Halil – sono stati prorogati automaticamente e in modo massiccio. «Sono iniziati 192 giorni in cui non ha potuto cambiarsi d’abito. La sua cella, che doveva contenere cinque detenuti, ne conteneva ora 20, poi 15 e più recentemente 10. La maggior parte di loro dormiva sul pavimento», scrivono Gideon Levy e Alex Levac, che attraverso le parole del palestinese ricostruiscono quanto accaduto. Il 26 ottobre nel carcere entrano le unità Keter, viene sguinzagliato un cane. «Siete Hamas, siete l’ISIS, avete stuprato, ucciso, rapito e ora è arrivato il vostro momento», furono le parole di un guardiano ai prigionieri. «I colpi che seguirono furono brutali, i detenuti furono incatenati, le pareti furono presto ricoperte dal sangue dei detenuti. Le percosse diventarono un affare quotidiano», scrivono i giornalisti.

Senza acqua

Le violenze non sono solo fisiche, nel racconto di Abu Halil, l’acqua viene razionata, anche quella del bagno, e le celle diventano invivibili, il cibo è appena sufficiente, musica e annunci a tutto volume vengono usati per togliere il sonno ai detenuti. Il racconto di Abu Halil è crudo, gli abusi sono umilianti e si susseguono, ogni tanto vengono portati nelle cucine, spogliati e presi a bastonate o a calci nei testicoli. Abu Halil vestirà lo stesso abito per 192 giorni di fila. «Tra il 15 e il 18 novembre sono stati picchiati tre volte al giorno. Il 18 novembre, le guardie hanno chiesto chi di loro fosse di Hamas, ma nessuno ha risposto. I colpi non si sono fatti attendere. Poi è stato chiesto loro: “Chi è Bassam?”. Anche in questo caso nessuno ha risposto, perché nessuno di loro si chiamava Bassam – e di nuovo è stata chiamata l’unità Keter. Arrivarono quella sera. Abu Halil racconta che questa volta è svenuto prima di essere picchiato, per lo spavento», scrive Haaretz. All’articolo, ha replicato un portavoce del Servizio carcerario. «L’Autorità penitenziaria è una delle organizzazioni di sicurezza [di Israele] e opera in conformità con la legge, sotto la stretta supervisione di molte autorità di controllo. Tutti i prigionieri sono detenuti in conformità con la legge e con una rigorosa protezione dei loro diritti fondamentali e sotto la supervisione di un personale di correzione professionale e preparato», scrive nel comunicato, «non conosciamo le affermazioni descritte nel vostro articolo e, per quanto ne sappiamo, non sono corrette. Tuttavia, ogni prigioniero e detenuto ha il diritto di presentare un reclamo attraverso i canali previsti e le sue richieste saranno esaminate. L’organizzazione opera secondo una chiara politica di tolleranza zero nei confronti di qualsiasi azione che violi i valori del Servizio penitenziario».

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