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Benifei: «Toti deve fare un passo indietro per non mettere in difficoltà i cittadini liguri» – L’intervista

07 Maggio 2024 - 17:45 Felice Florio
Il candidato alle Europee del Pd, spezzino di nascita, denuncia da tempo «il rapporto opaco tra sistema di potere e mondo delle imprese» in Liguria

Ormai, a Bruxelles, la sua casa è chiusa da un po’. Il Parlamento europeo è entrato ufficialmente in pausa, poi «c’è da fare campagna elettorale, bisogna stare sul territorio». Brando Benifei, eurodeputato del Partito democratico, si presenta in abito e cravatta in un viottolo del cuore di Milano, zona Cinque Vie. Un po’ bagnato dalla pioggia, un po’ affannato: «Sto girando come una trottola». Ci dedica mezz’ora per l’intervista e si scusa perché, mentre risponderà alle domande, prenderà a morsi un toast con la bresaola: «Ho fatto colazione, ma non ho pranzato». Sono le quattro di pomeriggio del 7 maggio. Manca un mese alle Europee e l’intervista era stata concordata per discutere della tornata elettorale dell’8 e del 9 giugno. Tuttavia, la vicenda giudiziaria che ha colpito la Regione Liguria, terra di Benifei, ha stravolto la gerarchia delle domande. Benifei tira giù un sorso di Coca Cola Zero, arriva il toast e inizia l’intervista. Anzi no: «Solo un minuto». È l’ennesima telefonata che riceve. Riaggancia. Ed ecco che il cellulare vibra di nuovo: «Dobbiamo mettere i manifesti…», dice in un messaggio vocale. «Abbiamo l’incontro in provincia di…». È un tornado, ma chi ha già fatto – e vinto – due volte la campagna europea, che prevede il voto per preferenza, sa che non ci si può fermare: «Tra venti minuti devo scappare».

Non ci aveva detto mezz’ora? Comunque, iniziamo: il suo partito è stato attaccato dal centrodestra per la gestione del consenso e dell’amministrazione in Puglia. Esiste un problema di clientelismo nel Pd, a livello locale?

«Il Pd ha saputo rispondere adeguatamente agli scandali che sono esplosi a livello territoriale in Puglia, ma penso anche al caso Piemonte. Perché credo che la differenza tra noi e il centrodestra sia questa: noi abbiamo degli esponenti che non sappiamo se saranno giudicati colpevoli o innocenti alla fine di un procedimento giudiziario, ma intanto fanno un passo indietro perché non vogliono mettere in imbarazzo la propria comunità politica. Chi non l’ha fatto autonomamente, è stato messo a distanza, perché secondo noi è anche responsabilità della politica non coinvolgere la propria comunità quando ci sono delle vicende giudiziarie per cui è necessario fare chiarezza. Lo dico senza pretendere di condannare o assolvere nessuno, non vogliamo sostituirci ai giudici. Non nego che negli ultimi tempi sono emersi dei contesti poco commendevoli, anche in Puglia, e per questo il tema oltre che giudiziario diventa politico. Dopo le elezioni europee, sarà fondamentale lavorare affinché il nostro partito cominci a fare una selezione approfondita della classe dirigente, anche recuperando quella gavetta che molti di noi hanno fatto in passato. E dobbiamo tenere lontani da noi i trasformisti, che sono un male endemico della politica italiana: dobbiamo respingere i trasformisti, a ogni livello».

Ha fatto bene il M5s a sfilarsi dalle primarie baresi e, in generale, auspica che l’alleanza con i grillini diventi strutturale?

«Per me è importante lavorare insieme per migliorare l’azione di governo. Anche quando si determinano condizioni di difficoltà, è essenziale che le forze del campo alternativo alla destra continuino a lavorare insieme. Spero che questa operazione di alleanza venga ripresa con efficacia. Spero anche che questa alleanza vada dai centristi ai 5 stelle, come successo quando si è governato il Paese durante il periodo Covid. Sì, l’auspicio è che si possa tornare a lavorare tutti insieme, perché l’Italia merita di meglio rispetto alla destra che è ora al potere».

Non mi ha risposto sulle primarie…

«Il M5s ha fatto male a sfilarsi, la risposta era implicita. Spero che anche a Bari ci possa essere una ricomposizione, dopo il primo turno».

La notizia del giorno è quella dei domiciliari a cui è stato sottoposto Giovanni Toti. È accusato di corruzione anche ai fini elettorali. Sono due casi paragonabili, quello ligure e quello pugliese?

«Onestamente è una vicenda che è emersa da poche ore, bisogna capire ancora molte cose. È certo, però, che un presidente di Regione è agli arresti domiciliari. Ed è vero che in Liguria si è radicato un sistema di potere che ha costruito rapporti opachi con il mondo delle imprese. Noi lo denunciamo da tempo. I politici non possono coltivare rapporti così stretti con dei finanziatori privati. Ecco, parlandone direi che il caso pugliese e quello ligure non mi sembrano paragonabili. Ma tutto il mio discorso soggiace a un principio: dobbiamo essere rispettosi della magistratura e dobbiamo muoverci nell’alveo del garantismo: nessuno è colpevole fino al giudizio definitivo. Però, dal punto di vista squisitamente politico, è emerso qualcosa di inaccettabile: a prescindere dalla rilevanza penale dei fatti, serve un gesto di responsabilità da parte di Toti. Un passo indietro, per non mettere in difficoltà la macchina amministrativa regionale e, soprattutto, i cittadini liguri».

Il capo di gabinetto, Matteo Cozzani, è imputato per promesse elettorali aggravate dal metodo mafioso. Gli inquirenti parlano di Cosa nostra. Lei, che conosce bene la Liguria, suo bacino elettorale, ha mai avuto la sensazione di un’infiltrazione mafiosa nel territorio?

«Già in passato ci sono state inchieste giudiziarie sulla ‘Ndrangheta in alcune zone della Liguria. Personalmente, non ho mai avuto avuto dubbi su persone o situazioni, altrimenti sarei andato in procura a denunciare. Purtroppo le mafie, come ci insegna chi le combatte in prima linea, penso a Don Ciotti e a Libera ad esempio, possono essere ovunque. Serve mantenere un atteggiamento rigoroso. Io ho deciso di sottoscrivere un impegno con la comunità: rendo pubblici i miei finanziatori. È un impegno che è stato proposto in passato proprio da Libera e credo sarebbe doveroso farlo per chi si propone per rappresentare l’interesse pubblico nelle istituzioni. Certo, sarei bugiardo se dicessi che non avessi sospetti sul caso di Toti, a proposito della trasparenza. Ricordo di cene elettorali a sostegno del movimento di Toti in cui la cifra richiesta per partecipare era esattamente pochi euro sotto la soglia di legge che, se superata, rende obbligatoria la pubblicazione dell’identità del donatore. La soglia è di 500 euro e sto parlando di una cena avvenuta meno di un mese fa».

Parlando di lei, crede di avere buone chance per la terza elezione a Strasburgo?

«Il bello delle Europee è che le liste sono aperte e gli elettori scelgono chi diventerà europarlamentare. Non c’è una lista bloccata e, dunque, le sorprese sono sempre possibili. Io so di aver lavorato con determinazione in questi anni: ho cercato di portare risultati utili per il territorio, di condividere i miei valori, di fare avanzare l’agenda europea sui diritti sociali, sulla lotta al cambiamento climatico. Ho lavorato per un’innovazione tecnologica vicina alle persone. Decine di migliaia di cittadini ricevono la mia newsletter, dove informo di bandi e opportunità che ci sono a Bruxelles e a Strasburgo, perché l’Europa deve essere prossima ai cittadini di tutti gli Stati membri. Se potrò continuare a fare questo lavoro, lo decideranno gli elettori».

Parlava di cambiamento climatico, ma il Green Deal è uscito significativamente ridimensionato dall’ultimo tratto della legislatura Ue. Cosa è andato storto?

«Su questo tema occorre abbandonare le ideologie. La prima ideologia è quella della destra, che racconta che non c’è bisogno di occuparsi del cambiamento climatico. Anzi pone questo tema in contrasto con la tutela del lavoro e dello sviluppo economico. Noi la pensiamo esattamente all’opposto. Con molto pragmatismo, ritengo che servano ingenti risorse per accompagnare la transizione ecologica, essenziale per continuare a rendere abitabile il nostro pianeta, per evitare di distruggere materie prime, che poi se scarseggiano fanno alzare a cascata tutti i beni e, quindi, hanno un risvolto anche sull’economia. Ecco perché sorrido quando ci accusano di essere promotori di una presunta ideologia green. I passi indietro sul Green Deal gli imputo a un avvicinamento che c’è stato tra Ursula von der Leyen e i conservatori di Giorgia Meloni. Se von der Leyen pensa di riproporsi alleandosi con la destra nazionalista dovrà tornarsene in Germania, non rientrerà certo nel palazzo della Commissione europea. I nostri voti, spero, serviranno a eleggere Nicolas Schmit come presidente della Commissione e, in ogni caso, non sono disponibili per alleanze che includano l’estrema destra».

Non sono disponibili per alleanze con Identità e democrazia o, con estrema destra, intende anche i Conservatori guidati da Meloni?

«Certo, annovero anche i Conservatori. In questi giorni, la segretaria Elly Schlein ha firmato un appello in questo senso con tutti i leader della nostra famiglia politica, i Socialisti e democratici. Io mi trovo completamente d’accordo».

A proposito di Meloni, visto che lei si è occupato di intelligenza artificiale, condivide il suo entusiasmo per la partecipazione del Papa a un panel del G7 che affronterà questa materia?

«Io sono stato relatore nel Parlamento europeo dell’AI Act: è il primo regolamento al mondo che istituisce norme chiare e vincolanti nel campo dell’intelligenza artificiale, dal riconoscimento biometrico da parte delle autorità alla gestione dei dati, dall’obbligo del watermarking per l’AI generativa alla cybersicurezza. Comunque, stiamo parlando di un cambiamento epocale nella vita dei cittadini di tutto il mondo e per questo sono convinto che i leader della società civile, delle imprese e maggior ragione i leader religiosi siano investiti dal dovere di occuparsi di questo stravolgimento. È una rivoluzione che trasformerà, anzi sta già trasformando la società, il lavoro, la vita delle persone. Quindi, non mi stupisce che anche un leader religioso dell’importanza del Papa partecipi a una discussione sul tema».

Lei è stato inserito dal Pd in cima alla lista della circoscrizione Nord-Ovest, insieme a Cecilia Strada. La presenza dell’ex presidente di Emergency, ma penso anche a quella di Marco Tarquinio e di altri candidati “pacifisti”, ha animato il dibattito sulla posizione del partito rispetto al sostegno all’Ucraina. Da che parte sta il Pd?

«Il Pd ha sempre tenuto una linea che ritengo giusta, ovvero di sostenere le esigenze difensive dell’Ucraina nei confronti dell’aggressione russa. Guardando un po’ più in là, credo che l’Europa debba diventare una potenza di pace, sulla base del diritto internazionale. Chiunque viola il diritto internazionale deve rispondere delle azioni commesse, che si tratti di Vladimir Putin, di Hamas o di Benjamin Netanyahu. Certamente mi auguro che si trovi una strada perché i conflitti a noi vicini, anzi in ogni angolo del mondo, possano avere fine. Ma questo richiede un impegno dell’Europa per la costruzione di un mondo basato sulle regole di convivenza tra i popoli. Ed è necessario un salto di qualità politico di questa Europa».

Non ha citato la possibile istituzione di una Difesa comune europea.

«La Difesa comune ha senso. Oggi, la frammentazione della Difesa, gestita da ogni singolo Stato, è un costo. Non solo: la Difesa frammentata causa molte inefficienze e sperpero di risorse per la spesa militare. Però, non basta la Difesa comune se manca una visione politica».

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