Chi sono le contestatrici di Eugenia Roccella: «Le donne non sono macchine per fare figli»
Chi sono le contestatrici di Eugenia Roccella? Ieri, 9 maggio, la ministra della Famiglia del governo Meloni ha abbandonato gli Stati Generali della Natalità dopo che erano stati alzati cartelli all’inizio del suo intervento. Poi i cori. I contestatori sono attivisti di collettivi studenteschi come Collettivo Transfemminista, Assemblea Aracne e Collettivo Artemis. Roccella ha parlato di «censura» ai suoi danni e ha ricevuto la solidarietà del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e della premier Giorgia Meloni. Mentre alcuni studenti hanno lanciato acqua all’indirizzo delle contestatrici. Che hanno criticato il governo per le politiche «che mettono a rischio il diritto all’aborto» e che vogliono che «il fine ultimo della donna» sia «la maternità».
Collettivo Transfemminista e Assemblea Aracne
Il collettivo Artemisia aveva annunciato la protesta su Instagram: già il 25 marzo una prima riunione sull’evento. Poi l’annuncio della protesta: «Ci vediamo per discutere tutti insieme del convegno “Stati generali della maternità” annunciato dal ministro Valditara», avevano scritto le attiviste. Ieri l’organizzatore Gigi De Palo ha smentito: «È un’iniziativa della Fondazione per la Natalità. Che non ha nulla a che vedere nemmeno con i Pro vita». Il collettivo Aracne prende il nome dal mito greco della ragazza trasformata in ragno. È un’assemblea transfemminista studentesca romana. «Non siamo macchine da riproduzione ma corpi in lotta per la rivoluzione», avevano scritto sui social. Quando Roccella ha detto «grazie a tutti» all’inizio del suo intervento è partita la contestazione con i cartelli: «Sul mio corpo decido io».
La studentessa Caterina
Repubblica intervista oggi la studentessa Caterina, che fa parte di Aracne. «La censura è un’altra cosa, la nostra è protesta, dissenso. La base di qualunque società democratica», spiega. «La nostra era solo un’azione forte di disturbo contro le assurde affermazioni sull’aborto e sulle famiglie omogenitoriali», aggiunge. Spiegando poi che sul palco volevano dire «che contestiamo l’idea che questo governo ha dei figli, visti come capitale umano, sociale e lavorativo. L’idea che le donne siano macchine da riproduzione e che la nostra massima aspirazione sia quella di diventare madri. Essere spinte, in quanto giovani, ad avere figli in quanto c’è il calo demografico. Senza tra l’altro occuparsi delle condizioni economiche e sociali in cui le faremmo. È una negazione della libera scelta».
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