I detenuti palestinesi «bendati, picchiati e costretti al silenzio». L’inchiesta della Cnn su un carcere israeliano
Bendati, legati, picchiati, perquisiti di notte, con i pannolini addosso e il divieto di parlare tra loro. Sono alcuni dei dettagli emersi dall’inchiesta della Cnn sull’ex base miliare di Sde Teiman, ora centro di detenzione delle truppe israeliane nel deserto del Negev, a circa una trentina di km dal confine con Gaza. A rivelarlo sono tre informatori israeliani, che hanno lavorato lì dentro e, diffondendo alcune foto, confermano le denunce già sollevate in precedenza su quel carcere. Secondo quanto ricostruito, tra le mura del centro di detenzione di cui non si sa quasi niente di ciò che vi accade, vige un modello di abusi e violenze inflitte ad almeno una settantina di detenuti palestinesi. In una delle foto delle talpe israeliane, si vede una sfilza di uomini in tuta grigia, bendati e seduti su dei materassini in un’area recintata dal filo spinato. Vi è poi un ospedale dove i detenuti feriti sono legati ai letti, indossando pannolini e alimentati attraverso cannucce. «Li hanno spogliati di tutto ciò che somigliava a esseri umani», racconta uno degli informatori che faceva il medico presso la struttura. «I pestaggi non sono stati fatti per raccogliere informazioni, ma per vendetta. È stata una punizione per ciò che i palestinesi hanno fatto il 7 ottobre e una punizione per il comportamento nel campo», ha aggiunto un altro.
I centri di detenzione
Israele ha ammesso di aver parzialmente trasformato tre strutture militari in campi di detenzione per i detenuti palestinesi di Gaza, catturati dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre. Oltre a Sde Teiman, ci sono anche le basi di Anatot e Ofer, situate in Cisgiordania. Si tratta di spazi che sono stati appositamente allestiti per i cosiddetti «combattenti illegali», secondo una legge approvata dalla Knesset lo scorso dicembre, che ha esteso l’autorità militare sui presunti terroristi. Questa normativa consente la detenzione per 45 giorni senza mandato, prima di trasferirli nel sistema carcerario, dove attualmente sono detenuti oltre 9mila palestinesi in condizioni che – secondo i gruppi per i diritti umani – sono peggiorate drasticamente negli ultimi sei mesi, causando la morte di almeno 18 detenuti. Questi luoghi sono descritti come punti di controllo, ma secondo i whistleblower della Cnn le condizioni sarebbero deplorevoli e disumane, sebbene le Forze di Difesa Israeliane abbiano respinto ogni accusa di illegalità.
Le torture e le operazioni mediche
I prigionieri, ricostruiscono ancora gli informatori, sono costretti a rimanere immobili, in silenzio e a non guardare sotto le bende che coprono i loro occhi. Alle guardie è stato ordinato di gridare «uskot», ovvero «zitto» in arabo. Chi disobbedisce viene punito, ad esempio, con l’obbligo di rimanere con le braccia alzate per un’ora, talvolta legate a una recinzione. E i recidivi subiscono picchi brutali. Riferiscono, inoltre, che alcuni detenuti vengono scelti per la loro conoscenza dell’ebraico per essere impiegati come mediatori tra le guardie e gli altri prigionieri. Non solo. Le operazioni mediche non verrebbero registrate da nessuna parte così da evitare problemi in caso di indagini. «Non si firma nulla e non vi è alcuna verifica dell’autorità. È un paradiso per gli stagisti perché è come se facessi quello che vuoi», dice uno degli informatori. Sollecitato sulla vicenda, l’esercito israeliano ha replicato: «L’Idf garantisce una condotta adeguata nei confronti dei detenuti in custodia. Qualsiasi accusa di cattiva condotta da parte dei soldati dell’Idf viene esaminata e trattata di conseguenza. I detenuti vengono ammanettati in base al loro livello di rischio e al loro stato di salute. Gli episodi di ammanettamenti illegali non sono noti alle autorità».
Foto di copertina: EPA/ANSA | ABIR SULTAN
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