L’odissea di Maysoon: salta l’incidente probatorio perché il testimone è irreperibile. Il legale: «A me ha risposto subito»
Dopo oltre quattro mesi Maysoon Majidi è ancora in carcere. L’attivista curdo-iraniana per i diritti della donne, arrivata sulle coste calabresi insieme ad altre 77 persone migranti lo scorso 31 dicembre, è accusata di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Per la procura di Crotone avrebbe ricoperto il ruolo di «seconda capitana» dell’imbarcazione. La regista teatrale di 28 anni si trova tuttora in cella a Castrovillari sulla base di dichiarazioni però smentite dagli stessi denuncianti poiché frutto di «un’errata traduzione». Oggi in Calabria, uno dei testimoni, che si trova in un campo profughi in Germania, avrebbe dovuto spiegare al Tribunale di non aver mai accusato Majidi. Eppure, l’udienza per acquisire anticipatamente la prova è stata rinviata perché il teste «non è stato rintracciato dalla guardia di finanza italiana», racconta a Open il suo legale, Giancarlo Liberati. Al termine dell’incidente probatorio, che si è concluso in un nulla di fatto, l’avvocato ha, però, mostrato come il testimone – dichiarato irreperibile pochi minuti prima – era contattabile per telefono. «Ho videochiamato davanti agli attivisti, presenti fuori dal Tribunale, Hosenzadi che mi ha subito risposto – spiega la difesa -. Non capisco come sia possibile che gli investigatori non siano riusciti a trovarlo». La sua testimonianza, a detta di Liberati, «è decisiva» poiché l’uomo ha spiegato all’avvocato di non aver mai accusato la ventottenne.
«La procura di Crotone non ha prove»
Tolte le dichiarazioni dei due testimoni (che «non potranno essere ammesse» in una fase successiva poiché «la richiesta dell’incidente probatorio è stata fatta dal pm dopo due mesi») non ci sarebbe più, secondo l’avvocato, alcuna prova contro l’attivista iraniana. Gli inquirenti hanno soltanto un video, trovato all’interno del cellulare di Majidi, dove la stessa giovane comunica ai famigliari l’imminente approdo sulle coste italiane l’ultimo giorno dell’anno del 2023. «Siccome lo ha girato vicino al timone – spiega Liberati -, per la procura è complice di scafismo. Io ho però trovato un altro video sui social dove si vedono i veri responsabili, mentre Maysoon non compare mai – continua -. E il fatto che sia salita nella parte superiore dell’imbarcazione per prendere una boccata d’aria perché stava male a causa delle mestruazioni non è sufficiente per accusarla di essere una “scafista”». Il legale ha annunciato che presenterà la richiesta di domiciliari per l’attivista: «Abbiamo trovato già un domicilio e il pm ha già detto che darà parere contrario».
La nota di Amnesty International in Tribunale a Crotone
In occasione dell’udienza davanti al Tribunale di Crotone, gli attivisti del comitato “Maysoon libera” e della rete 26 febbraio, nata dopo la tragedia di Cutro, hanno organizzato un sit-in per chiedere la liberazione di Majidi. Anche Amnesty International è intervenuta con un comunicato: «Abbiamo avuto modo di documentare come, durante la rivolta del movimento “Donna Vita Libertà” del 2022, le forze di sicurezza iraniane abbiano usato lo stupro e altre forme di violenza sessuale per intimidire e punire le persone scese in strada per manifestare, anche di soli 12 anni». Le drammatiche testimonianze rappresentano «solo una parte del sistema repressivo attuato dalle autorità iraniane, che usano la violenza sessuale per reprimere le proteste e il dissenso e per rimanere aggrappate al potere a ogni costo. Le persone sopravvissute – continua la nota a firma della direttrice generale dell’organizzazione in Italia – sono state lasciate senza possibilità di fare ricorso o richiesta di risarcimento. Per loro – sottolinea – solo impunità istituzionalizzata, silenzio e molteplici cicatrici fisiche e psicologiche che hanno lasciato segni profondi».
Alla luce di questi elementi e dell’attività svolta da Majidi in favore dei diritti delle donne e della minoranza curda, «Amnesty teme per la sua incolumità e chiede che le vengano garantiti i suoi diritti fondamentali e – conclude – le eventuali cure mediche necessarie». La ventottenne è scappata dall’Iran dopo che la polizia morale iraniana l’aveva ritenuta coinvolta nell’organizzazione delle proteste contro il regime degli Ayatollah di Teheran. Era doppiamente discriminata in quanto donna e in quanto appartenente alla minoranza curda. Fuggita nel Kurdistan iracheno, Majidi capisce che non avrebbe ottenuto il permesso di soggiorno e che sarebbe stata estradata in Iran. Perciò, decide di intraprendere la rotta jonica e di fuggire via mare verso l’Italia insieme a suo fratello. Il 23 aprile scorso il suo avvocato è andato di persona in procura a Crotone a cercare la pm, Rosaria Multari, per chiederle (nuovamente) di interrogare l’accusata. Richiesta respinta. «Maysoon sta molto male, è dimagrita 14 kg. Non capisce ancora oggi – sottolinea Liberati – quali accuse le sono mosse, preferisce affrontare il carcere o pene maggiori in Iran dove conosce la propria colpa». Che è quella di essere donna e di voler vivere la propria vita da persona libera.
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