Cresce l’economia italiana, ma aumenta la povertà. Dal crollo del potere di acquisto all’inverno demografico: cosa dice il rapporto Istat 2024

L’istituto rileva l’aumento dei working poor, il calo della propensione al risparmio e il sottoinquadramento di un laureato su tre

Un quadro in chiaroscuro che, partendo da dati economici, restituisce dettagli su come sta cambiando la vita degli italiani. L’Istat ha presentato il «Rapporto annuale 2024» sull’Italia, a Montecitorio: «Il rapporto 2024 illustra la complessità del presente ma anche degli scenari evolutivi, individuando i punti di forza e le criticità per delineare alcune delle aree di intervento per le politiche di sviluppo». Tra i dati rilevati, c’è quello concernente la crescita delle persone in povertà assoluta: il 9,8% della popolazione rientra in questa fascia e, contemporaneamente, si è ampliata la distanza tra le famiglie più e meno abbienti. La percentuale è più alta di tre punti rispetto al 2013 e l’incremento ha riguardato principalmente i cittadini in età lavorativa. L’Istat sottolinea, infatti, come il reddito da lavoro – soprattutto quello da lavoro dipendente – non sia più in grado di tutelare le persone dal disagio economico.


Il crollo del potere d’acquisto

Il tema del working poor riguarda in particolare gli operai, per cui l’incremento è stato più rapido: si è passati, in dieci anni, dal 9% del 2013 al 14,6% nel 2023. Questi dati arrivano a fronte di un aumento dell’occupazione. Il problema, però, è che il potere d’acquisto dei salari lordi è crollato del 4,5% nell’ultimo decennio. Si legge nella relazione: «Nonostante i miglioramenti osservati sul mercato del lavoro negli ultimi anni, si legge, l’Italia conserva una quota molto elevata di occupati in condizioni di vulnerabilità economica. Tra il 2013 e il 2023 il potere d’acquisto delle retribuzioni lorde in Italia è diminuito del 4,5% mentre nelle altre maggiori economie dell’Unione europea è cresciuto a tassi compresi tra l’1,1% della Francia e il 5,7% della Germania». Le retribuzioni orarie, osserva l’Istat, sono cresciute a un ritmo sensibilmente inferiore a quello osservato per i prezzi al consumo. L’inflazione molto elevata ha penalizzato i ceti bassi.


I lavoratori sovra-istruiti

In questo scenario, cala la propensione al risparmio. «Il mantenimento del volume dei consumi, nonostante la riduzione del potere d’acquisto, ha comportato una riduzione della propensione al risparmio fino al 6,3% nel 2023». Sulla povertà dei lavoratori, insiste anche un altro elemento: il sottoinquadramento dei laureati. L’istituto evidenzia come, nel 2023, tra gli occupati laureati circa 2 milioni – ovvero il 34% del totale – ha un inquadramento professionale che non richiede tra i requisiti il titolo universitario. Tradotto, un laureato ogni tre è sovra-istruito rispetto al lavoro per il quale è stato assunto. Quest’incidenza raggiunge il 45,7% tra i laureati in discipline socio-economiche e giuridiche, mentre scende al 27,6% tra i laureati nelle cosiddette discipline Stem.

Sale il tasso di occupazione

Seppure il divario di genere resta alto – 17,9% – in rapporto all’occupazione, nel 2023 sia gli uomini che le donne hanno visto un aumento del tasso. In totale, l’occupazione ha raggiunto la quota del 61,5% della popolazione compresa tra i 15 e i 64 anni. Gli uomini vedono salire il tasso di occupazione al 70,4%, le donne al 52,5%. Resta elevato il tasso di inattività della popolazione tra i 15 e i 64 anni: è pari al 33,3%, il più alto dei Paesi Ue. Si legge nel rapporto: «Il divario nei tassi di occupazione dell’Italia rispetto alla media Ue può essere integralmente ricondotto alla debolezza del mercato del lavoro delle regioni del Mezzogiorno (nel 2023, il 48,2% di occupati rispetto al 70,4% della media Ue27) e della componente femminile dell’occupazione (il 52,5% a fronte del valore 65,8%)».

È aumentato il divario di crescita con i maggiori Paesi Ue

Ci sono voluti 15 anni per recuperare il valore del Pil reale, ovvero quello misurato in volume. L’Italia solo nel 2023 è riuscita a tornare ai livelli del 2007. Tuttavia, in questi 15 anni si è accumulato «un divario di crescita di oltre 10 punti con la Spagna, 14 con la Francia e 17 con la Germania». Rispetto al 2000, il divario è di oltre 20 punti con Francia e Germania, e di oltre 30 con la Spagna. Però, se si considera il Pil nominale nel periodo 2019-2023, l’Italia è l’economia cresciuta a un ritmo più elevato tra i quattro maggiori Paesi europei: +4,2% a fine 2023 sull’ultimo trimestre del 2019, mentre la Spagna ha segnato un +2,9%, la Francia un +1,9% e la Germania un +0,1%.

Il Reddito di cittadinanza

L’Istat sancisce che la povertà è aumentata. Altresì, certifica la bontà della misura del Reddito di cittadinanza per contrastarla. Il sussidio, si legge nella relazione, «ha permesso di uscire dalla povertà a 404 mila famiglie nel 2020, 484 mila nel 2021 e 451 mila nel 2022. Per quanto riguarda gli individui, l’uscita dalla povertà ha riguardato 876 mila persone nel 2020 e oltre un milione nel 2021 e nel 2022». Senza il Reddito di cittadinanza, spiega l’istituto, «l’incidenza di povertà assoluta familiare nel 2022 sarebbe stata superiore di 3,8 e 3,9 punti percentuali, rispettivamente nel Sud e nelle Isole. Tra le famiglie in affitto, l’incidenza di povertà sarebbe stata 5 punti percentuali superiore. Tra le famiglie con persona di riferimento in cerca di occupazione, l’incidenza avrebbe raggiunto il 36,2% nel 2022, 13,8 punti percentuali in più».

In 20 anni tre milioni di giovani in meno

L’Italia, nell’ultimo ventennio, ha registrato una diminuzione della popolazione compresa tra i 18 e i 34 anni. Un calo del 22,9%, che si sostanzia in oltre tre milioni di giovani in meno rispetto al 2004. Confrontando i dati con il 1994, quando si verificò il picco grazie ai ragazzi che rientravano nella fascia del baby boom, il calo è pari a quasi cinque milioni: -32,3%. Contestualmente, scrive l’Istat, «negli ultimi 30 anni c’è stato un incremento speculare delle persone di 65 anni e più, cresciute da poco più di 9 milioni nel 1994 a oltre 14 milioni nel 2023: +54,4%».

Il matrimonio arriva cinque anni più tardi

Nella relazione si parla di giovani che hanno una transizione verso la vita coniugale in età sempre più avanzata. Nel 2022, il 67,4% dei 18-34enni vive in famiglia: quasi otto punti in più rispetto al 2002, quando la percentuale si attestava al 59,7%. I valori sono più alti in Campania e in Puglia, dove la percentuale di giovani che vive ancora nella famiglia di origine sfiora il 75%. Si posticipano anche la nuzialità e la procreazione: «Nel 2022, l’età media al primo matrimonio è di 36,5 anni per lo sposo – 31,7 nel 2002 – e 33,6 per la sposa – 28,9 nel 2002 -. Quella della prima procreazione per le donne è salita a 31,6 anni, contro 29,7 nel 2002».

Il rapporto annuale 2024 dell’Istat

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