Cosa sappiamo della MIP-C, la rara malattia autoimmune emersa assieme alla Covid-19
Sta facendo discutere un recente studio osservazionale e retrospettivo pubblicato su eBioMedicine (rivista scientifica del gruppo The Lancet). Un team di ricercatori angloamericani, guidati da Dennis McGonagle e Pradipta Ghosh, ha analizzato un gruppo di pazienti dello Yorkshire positivi a una malattia autoimmune legata all’enzima MDA5 (Melanoma differentiation-associated protein-5). Si è osservato quindi un aumento dei casi in correlazione alla pandemia di Covid-19. Questo ha portato gli autori a distinguerne una nuova forma: la MIP-C (MDA5-autoimmunity and Interstitial Pneumonitis Contemporaneous with the COVID-19 Pandemic).
Né la prima né l’ultima malattia legata alla Covid-19
Questa malattia infiammatoria e cronica si manifesta non solo nei polmoni ma anche nella pelle e nei muscoli. La progressione è rapida e potenzialmente mortale. Si spiega con l’azione degli anticorpi che attaccano l’MDA5. I casi hanno avuto un incremento fino al 2022, quando è cominciato il loro calo. I sintomi includono cicatrici polmonari, artrite, mialgia ed eruzioni cutanee.
«Non dobbiamo preoccuparci per questa MIP-C – ha spiegato ad Adnkronos il professor Matteo Bassetti -, è una malattia autoimmune che può essere indotta da Sars-CoV-2, è la prima volta che ne sento parlare in quattro anni di Covid. Sono lavori interessanti portati avanti durante la pandemia, ma io non ho mai visto un caso da quando faccio questo mestiere. Sicuramente il Sars-CoV-2 può aver esacerbato alcune malattie, può aver “acceso” alcune patologie autoimmuni a livello polmonare già conosciute, ma – conclude – non credo che questa sia un grande problema».
Parliamo di un tema «molto interessante perché dopo 4 anni di lavori sul Sars-CoV-2 si stanno scoprendo nuovi legami con diverse malattie autoimmuni. La causa della dermatomiosite si ipotizzava potesse essere un virus – continua il professor Massimo Andreoni intervistato sempre da Adnkronos – e oggi sappiamo che molto probabilmente il Covid ha un ruolo. […] Molte scoperte arrivano proprio perché stiamo studiando come comunità scientifica in modo molto approfondito questo virus respiratorio, quindi in un prossimo futuro troveremo altre malattie legate a questa infezione».
Come è emersa la MIP-C
Secondo la ricostruzione della professoressa Ghosh della San Diego School of Medicine in California, tutto è cominciato quando il collega d’oltremare McGonagle «mi ha detto che stavano riscontrando casi lievi di COVID pur avendo vaccinato circa il 90% della popolazione dello Yorkshire, e stavano riscontrando questa rarissima malattia autoimmune chiamata MDA5». Precisiamo che le forme lievi di Covid nonostante il vaccino da sole non dovrebbero essere una sorpresa, ricordiamo infatti che i vaccini Covid prevengono soprattutto le forme gravi di Covid-19.
Durante la pandemia di Covid-19 sono emersi diversi casi di dermatomiosite autoimmune legata all’azione di proteine MDA-5+ (si tratta di un enzima che permette il riconoscimento di diversi virus a mRNA, compreso SARS-CoV-2). Parliamo di una malattia polmonare interstiziale rara, che progredisce rapidamente ed è conseguentemente a elevata mortalità.
I ricercatori hanno studiato un’ampia coorte di pazienti dove vi era un plausibile collegamento tra la malattia autoimmune e la Covid-19. Hanno quindi definito somiglianze e differenze rispetto alla forma correlata alla Covid, ovvero la MIP-C. Questa “nuova versione” si è manifestata «durante o a seguito di un’elevata circolazione comunitaria di SARS-CoV-2 – spiegano gli autori dello studio – e solo il 58% dei casi aveva avuto una precedente vaccinazione contro SARS-CoV2».
Rispetto alla forma pre-pandemica, la MIP-C si presentava con una malattia polmonare interstiziale (ILD) nel 40% in meno dei casi analizzati, per quanto sussistessero le condizioni di base che rendono possibile tale sviluppo. «Nonostante queste differenze – continuano i ricercatori -, le analisi bio-informatiche hanno confermato gli immuno-fenotipi condivisi tra i due come fattori determinanti dell’ILD». Parliamo comunque di una patologia rara. Almeno questo è quel che sappiamo al momento: «la consapevolezza e il follow-up del MIP-C sono fondamentali per accertare se si evolverà nella tipica forma adulta di MDA5 con tassi molto più elevati di malattia polmonare», auspicano gli autori della ricerca.
La correlazione più probabile con la Covid-19 (e non coi vaccini)
I ricercatori suggeriscono che questo incremento di malattie polmonari interstiziali – contemporaneo alle ondate pandemiche -, possa spiegarsi con risposte «aberranti» dell’Interferone di tipo 1. Prendendo in contropiede eventuali future letture No vax, facciamo presente che questo lavoro mostra «buone prove di un collegamento tra l’infezione da SARS-CoV-2 e la vaccinazione e forse entrambi». Insomma, è proprio l’esistenza della pandemia la condizione che appare determinante. Esaminiamo alcuni passaggi che potrebbero apparire equivoci:
«Dato che quasi il 42% dei nuovi casi non è stato vaccinato prima della malattia MDA5+ – continuano i ricercatori -, ciò suggerisce che una malattia COVID-19 più lieve, sia manifesta che nascosta [Ricordiamo che molti casi sono asintomatici, Nda] potrebbe essere sufficiente a causare autoimmunità alla MDA5. Dato che il picco dei test di positività all’MDA5 ha seguito il picco dei casi di COVID-19 nel 2021 e ha coinciso con il picco della vaccinazione, questi risultati suggeriscono una reazione immunitaria o autoimmunità contro l’MDA5 in seguito all’esposizione a SARS-CoV-2 e/o al vaccino; potrebbe rappresentare una nuova immunogenicità in soggetti non immuni in seguito al coinvolgimento dell’RNA con MDA5, causando un aumento della risposta delle citochine e quindi l’innesco di una malattia autoimmune. Lo sviluppo dell’immunità di gregge e una minore esposizione respiratoria alla SARS-CoV2 potrebbero teoricamente contribuire al fenotipo più lieve a livello di popolazione nell’entità MIP-C da noi proposta».
Per quanto gli autori dello studio suggeriscano un collegamento tra l’attivazione della proteina MDA5 sia con l’infezione naturale che con la vaccinazione «o potenzialmente entrambi», portando alla MIP-C; la prima cosa che emerge è come «la gravità di COVID-19 può dettare il rischio di progressione verso [la malattia polmonare interstiziale, Nda]»; un rischio che i vaccini Covid riducono sensibilmente. Del resto nelle loro conclusioni si parla di «un collegamento plausibile e potenzialmente causale tra l’aumento della positività anti-MDA5, l’ILD autoimmune e la COVID-19», mentre non si menzionano i vaccini.
I limiti dello studio
Lo studio presenta anche dei limiti, che ci permettono di contestualizzarne la portata. Spesso si tende infatti a dimenticare che non ci troviamo mai di fronte a dei testi sacri e inviolabili. Abbiamo precisato non a caso fin dall’introduzione che stiamo parlando di una ricerca osservazionale e retrospettiva. Si tratta quindi di un lavoro svolto raccogliendo dati riguardanti fenomeni già accaduti, senza che i ricercatori abbiano potuto svolgere ulteriori controlli.
Per esempio, i ricercatori precisano che «la maggior parte dei pazienti non è stata testata sistematicamente», ragione per cui in diversi pazienti vi è incertezza sullo «stato di infezione da Covid-19». Senza contare che stiamo parlando di 25 pazienti con cicatrici polmonari caratteristici della malattia polmonare interstiziale (otto dei quali sono deceduti a causa della relativa fibrosi progressiva), su un totale di 60 persone. La stessa incertezza si riscontra anche sull’analisi degli anticorpi:
«Un’altra limitazione è la mancanza di dati sulla sierologia del Covid-19 – riportano gli autori -, ovvero anticorpi contro il picco, dominio di legame del recettore del picco e nucleoproteina. Ciò limita qualsiasi estrapolazione in relazione alla malattia MIP-C e al collegamento preciso tra circolazione, infezione e vaccinazione di SARS-CoV-2».
Abbiamo notato nell’articolo che vi è anche una “dimensione asintomatica” della Covid-19, che ha contribuito ulteriormente a limitare i risultati dello studio. «Non disponiamo di dati sull’infezione asintomatica o sullo stato di portatore prolungato come potenziali fattori in alcuni di questi casi – continuano i ricercatori -; né disponevamo di campioni derivati dai pazienti per analizzare i set di dati trascrittomici della nostra coorte». Certamente non stiamo parlando di un lavoro mal svolto, non di meno tutte queste limitazioni hanno giocato un ruolo anche nel rigore statistico, che per stessa ammissione degli autori «non è stato possibile in alcuni casi».
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