«Crimini di guerra»: il procuratore dell’Aja chiede mandati d’arresto per Netanyahu e Sinwar. Biden: «Vergogna, nessuna equivalenza Israele-Hamas»
Il procuratore capo della Corte penale internazionale Karim Khan si appresta a chiedere di spiccare mandati di arresto nei confronti del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, e del capo di Hamas, Yahya Sinwar. Khan lo ha rivelato in anteprima alla Cnn, in un’intervista all’anchorwoman Christiane Amanpour. L’accusa tanto per il leader israeliano quanto per il capo di Hamas a Gaza è quella di crimini di guerra e di crimini contro l’umanità, per la strage del 7 ottobre nel secondo caso, per la campagna militare lanciata a seguire nella Striscia per il primo. È la prima volta che la Corte penale internazionale mette nel mirino il leader di un Paese alleato degli Stati Uniti. Oltre a Netanyahu, la Corte sta valutando di emettere mandati d’arresto anche per il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant, per Mohammed Diab Ibrahim al-Masri, leader delle Brigate Al-Qassem (più conosciuto come Mohammed Deif), e per Ismail Haniyeh, leader politico di Hamas. Le accuse contro Netanyahu e Gallant appaiono pesantissime. Li si accusa in particolare di «aver causato lo sterminio, usato la fame come metodo di guerra – inclusa la negazione degli aiuti umanitari – e preso di mira deliberatamente i civili durante il conflitto».
Sentenza esplosiva
La Corte penale internazionale indaga da mesi sui crimini commessi da entrambe le parti belligeranti. Il possibile intervento annunciato oggi potrebbe avere enormi conseguenze, soprattutto per Israele. Se raggiunto dal mandato di arresto internazionale, Netanyahu si vedrebbe bollato di un marchio d’infamia globale, lo stesso che grava su Vladimir Putin. Sul piano pratico andrebbe incontro alle stesse limitazioni che hanno colpito il leader russo. Viaggiare verso Paesi che hanno aderito alla Corte diventerebbe un azzardo, considerato che gli Stati firmatari hanno l’obbligo giuridico di eseguire le sentenza della Cpi. L’Italia e gli altri Paesi dell’Ue, per intenderci, sono tra questi. Israele e gli Usa non hanno mai firmato il Trattato di adesione alla Corte istituita alla fine degli anni ’90. Essa tuttavia ha la giurisdizione su Gaza, Gerusalemme est e Cisgiordania, visto che i leader palestinesi hanno formalmente accettato di essere vincolati ai principi fondanti della Corte, nel 2015.
L’ira di Netanyahu (e di Gantz)
Non si è fatta attendere la reazione di Netanyahu, che già nelle scorse settimane aveva detto di considerare qualsiasi eventuale azione della Corte contro funzionari governativi e militari israeliani alla stregua di «un oltraggio di proporzioni storiche». La decisione ora annunciata da Khan è uno scandalo, ha detto furioso il premier a una riunione del Likud, aggiungendo che questa «non fermerà nè me nè noi». Il ministro degli Esteri Israel Katz, per tutta risposta, ha aperto una «room war speciale» per controbattere alla mossa della Cpi, riporta Reuters. Ancor prima di Netanyahu, a dichiarare inaccettabile la mossa di Khan era stato il principale avversario interno del premier, Benny Gantz. Secondo l’ex capo di stato maggiore dell’esercito, che solo l’altro ieri ha dato un ultimatum politico a Netanyahu per una «exit strategy» dal conflitto a Gaza, «tracciare paralleli tra leader di Paesi democratici determinati a difendersi dal peggior terrorismo e quelli di un’organizzazione terroristica assetata di sangue è una profonda distorsione della giustizia e una spudorata bancarotta morale».
La reazioni di Hamas e Olp
Uguale e contraria, per paradosso, la reazione alla decisione della Cpi che filtra da Hamas. «Mette sullo stesso piano la vittima e l’aggressore» e incoraggia Israele a proseguire la sua «guerra di sterminio», ha detto un alto dirigente del movimento terroristico, Sami Abu Zuhuri. Più sfumata la reazione dell’Olp, che per bocca di Wasel Abu Youssef sostiene che la mossa della Corte penale internazionale «fa confusione su chi sia realmente la vittima. Il popolo palestinese – è la rivendicazione – ha il diritto di difendersi».
Lo scudo di Biden a Israele
Non è un mistero che il presiedente americano Joe Biden e il premier israeliano Benjamin Netanyahu siano ai ferri corti, divisi ormai da mesi su obiettivi e gestione della guerra a Gaza. Eppure il leader Usa ha offerto oggi un potente scudo a Netanyahu (e Gallant), condannando la mossa della Cpi con parole dure: «La richiesta del procuratore della Corte penale internazionale di mandati di arresto contro i leader israeliani è vergognosa», ha scandito Biden. «E vorrei essere chiaro: qualunque cosa questo procuratore possa implicare, non esiste alcuna equivalenza – nessuna – tra Israele e Hamas. Saremo sempre al fianco di Israele contro le minacce alla sua sicurezza». Concetti sottolineati anche dal segretario di Stato Antony Blinken, rientrato a inizio mese dall’ennesima missione diplomatica in Israele. Per il responsabile della politica estera degli Usa, la decisione «vergognosa» del procuratore Khan sarebbe perfino controproducente, poiché rischierebbe di mettere a repentaglio le trattative (al momento al palo) per un cessate il fuoco a Gaza.