La storia di Pasquale Guadagno, orfano di femminicidio: «Costretto dallo Stato a vivere con chi difendeva mio padre»
Pasquale Guadagno aveva solo quattordici anni quando sua madre Carmela Cerillo, 38 anni, fu uccisa in casa a Udine dal marito Salvatore Guadagno, condannato a 18 anni di carcere, ridotti poi a 13 per buona condotta. Era il 25 aprile 2010: data che segnò la fine di una vita e l’inizio di un travagliato percorso di sofferenza e resilienza per Pasquale e sua sorella Annamaria, all’epoca 17enne. Dopo la morte della madre, i due ragazzi vennero affidati alla famiglia del padre femminicida. L’affidamento più opportuno secondo chi seguì il caso allora, ma rivelatosi poi profondamente problematico per i due figli. «Sono stati anni terribili», confida a Open Pasquale, che oggi ha 27 anni. «Ci siamo ritrovati in un ambiente che continuava a colpevolizzare la figura di nostra madre e, al contrario, salvaguardare quella di mio padre. Quando sei così piccolo, non hai gli strumenti per capire che cosa sia giusto o sbagliato. Poi, a 17 anni, ho iniziato a oppormi e ribellarmi, decidendo di andare a vivere con mia sorella, che scelse di abbandonare gli studi per iniziare a lavorare e mantenere entrambi», racconta.
Anime invisibili
«Di fatto», evidenzia con rabbia, «mia sorella si è dovuta sostituire allo Stato. Dovrebbe essere impensabile. Non abbiamo avuto un assistente sociale di riferimento, uno psicologo o una guida». I motivi sono stati molti: dai vuoti legislativi alla scarsità di servizi o alla loro inefficacia. «L’orfano non si espone, soprattutto se è piccolo. Come si può portare alla luce un problema se chi lo vive non è nelle condizioni di raccontarlo? Questo, dopo anni e un lungo lavoro introspettivo, mi ha spinto a espormi e parlare. Ho capito che se non ci si espone, il problema non esiste per nessuno», commenta Pasquale. Da qui, a distanza di 14 anni, è nata la scelta di creare uno spazio sicuro per chiunque si trovi nella situazione che lui e sua sorella hanno dovuto affrontare. Così, lo scorso 25 aprile, anniversario della morte della madre Carmela, ha fondato Anime Invisibili, un’associazione che lotta contro la violenza di genere e offre gratuiamente tutela legale, assistenza sociale e supporto psicologico agli orfani di femminicidio. Oggi – lunedì 20 maggio – Guadagno presenterà Anime Invisibili alla Standard Nights/01, presso la Moiré Gallery di Milano, un evento organizzato dall’associazione no profit a supporto di giovani e minoranze Lidia Dice. Sarà presente anche l’avvocata penalista Stefania Crespi, specializzata in reati contro la famiglia, violenza domestica e stalking, che difende donne, minori e uomini vittime di maltrattamenti.
L’avvocata: «Consapevolezza e resistenza le prime grandi sfide»
Il femminicidio di sua madre, ricorda Pasquale, è stato il culmine di un ciclo di violenze e soprusi che il padre perpetrava da tempo in famiglia. Aiutare le vittime a riconoscere la violenza domestica è una delle prime sfide che l’avvocata Crespi si trova ad affrontare nei casi che segue. «È la prima difficoltà che incontro», racconta la legale a Open. «Talvolta, tendono a giustificare il proprio coniuge o convivente. Se vengono da me, è perché sanno già che qualcosa non va. Eppure, può capitare che poi spariscano o che tendano a sminuire i maltrattamenti. La prima sfida è quindi sempre quella della consapevolezza e arrivare a definire maltrattante il proprio compagno». Crespi prosegue spiegando che un altro problema è riuscire a far riconoscere al maltrattante che sta mettendo in atto un comportamento violento. «Parlando con gli avvocati delle controparti, ma anche assistendo a dei dialoghi, vi è spesso la tendenza del maltrattante a negare. Nelle vittime e nei carnefici, dopo la consapevolezza subentra la resistenza». Atteggiamento che genera una cascata di conseguenze, a partire dal fatto che molte vittime decidono di non denunciare. «Il terrore della vittima è che il comportamento violento peggiori di fronte a una denuncia. L’altra paura è che non cambi nulla. Ma la verità è che non cambia nulla se non si fa nulla», commenta Crespi.
Minori e violenza domestica
«Dal punto di vista legale, negli anni sono cambiate molte cose. In ambito civile, la riforma Cartabia ha introdotto significative modifiche, soprattutto riguardo ai tempi dei procedimenti, che sono stati ridotti per tutelare i minori», spiega l’avvocata Crespi. Sottolinea come il sistema giudiziario italiano distingua tra minori vittime di violenza assistita e minori vittime di violenza subita. «Il minore è vittima “diretta” quando subisce personalmente la violenza, mentre è “assistita” quando assiste alla violenza tra i genitori. Fino a poco tempo fa, la Cassazione valutava l’impatto sulla crescita psicofisica del minore: se compromessa, il minore era considerato parte offesa, altrimenti era un semplice testimone», prosegue la legale. «Con le recenti modifiche, però, il minore che assiste alla violenza di un genitore sull’altro è automaticamente considerato parte offesa. Questo significa che può costituirsi parte civile nel processo. Se uno dei genitori non è maltrattante, si costituirà in giudizio per sé e per il bambino. Se entrambi i genitori sono maltrattanti, interviene il curatore speciale del minore, figura creata alcuni anni fa per agire per conto del minore stesso».
Il braccio di ferro con la legge
Fin da subito, Pasquale si è dovuto scontrare con i vuoti legislativi e la scarsità dei servizi per gli orfani di femminicidio. «Nel 2018 è nata una legge a tutela degli orfani per crimini domestici che prevede, ad esempio, l’istituzione di un fondo per il finanziamento di iniziative in loro sostegno», spiega il 27enne. «Ma fino al 2020 non è stato possibile accedervi perché mancavano i regolamenti attuativi. Mia sorella ed io non abbiamo potuto beneficiare di nulla di questa legge. A 24 anni sono caduto in depressione. Ho cercato aiuto, ma per lo Stato ero autosufficiente. Per pagarmi il terapeuta ho dovuto chiedere un prestito». Gli attriti con la burocrazia e la legge sono proseguiti poi negli anni. Poco più di un anno fa, Pasquale e sua sorella hanno iniziato una nuova battaglia, salita nei mesi scorsi agli onori della cronaca. I due figli si sono informati per spostare la salma della madre da Udine, città dove sono cresciuti, a Napoli, dove la madre era nata e dove risiede la sua famiglia. Un’iniziativa per dare seguito a un desiderio espresso dalla donna quando era in vita. Tuttavia, per la legge decide il marito, anche se ha commesso omicidio. Se i figli vogliono seppellire la madre a Napoli, necessitano del suo consenso scritto. Così, dopo anni che non lo sentivano né vedevano, Pasquale e Annamaria si sono trovati costretti a fare visita in carcere al padre per chiedergli l’autorizzazione. Il padre, però, ha negato il consenso e, anzi, ha detto loro che intende cremare la moglie «per tenerla con sé, a casa sua». Pasquale e Annamaria sono stati sentiti in Senato e hanno inizialmente ottenuto la promessa da parte del Movimento 5 Stelle di agire per una proposta di legge. Al momento, tutto è ancora fermo. Il padre, intanto, è uscito dal carcere.
«Tutti devono essere sentinelle»
Sul fronte della violenza domestica sono stati fatti passi avanti, riconosce l’avvocata Crespi, ma c’è ancora molto da fare. «È fondamentale partire dall’educazione fin dalla giovane età», incalza. «Si inizia parlando nelle scuole», spiega, «adattando il linguaggio all’età dei bambini e dei ragazzi. Dobbiamo spiegare concetti come il rispetto e l’importanza delle parole già alle elementari. Alle medie devono esser approfonditi argomenti come la condivisione di materiale pornografico senza il consenso e lo stalking, mentre al liceo mi sono resa conto che bisogna concentrarsi sul concetto di consenso e prevenire la violenza sessuale di gruppo». Non solo i più piccoli o i giovani, in questo processo devono essere coinvolti anche gli adulti. Per questi ultimi, sottolinea Crespi «urge formazione». Quanto alla società civile, conclude, «è fondamentale sentirsi sentinelle sociali. Ognuno deve essere vigile e in grado di agire quando si trova di fronte a situazioni sospette o pericolose».
Nella foto: Pasquale e sua sorella Annamaria
Leggi anche:
- Perché Filippo Turetta rischia lo stalking e la premeditazione: «Ha installato un’app sul telefono di Giulia Cecchettin»
- Gino Cecchettin lancia la «Fondazione Giulia», il progetto nelle scuole nel nome della figlia: «Da lei ho imparato a essere meno maschio alfa»
- Giampiero Gualandi: l’ombra del femminicidio sulla morte di Sofia Stefani ad Anzola