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Processo Giulio Regeni, l’audio che incrimina gli agenti: «Il suo passaporto messo in quella casa dalla polizia» – Il video

21 Maggio 2024 - 17:49 Redazione
Un testimone riferisce che un colonnello della polizia investigativa era in possesso del documento prima di effettuare la perquisizione nell'appartamento dove fu sgominata (e uccisa) una banda criminale, accusata poi falsamente dell'omicidio

Sono 18 minuti di audio e potrebbe esser la nuova pietra d’accusa nei confronti dei quattro 007 egiziani accusati del sequestro, delle torture e dell’omicidio di Giulio Regeni. Una prova che la Procura di Roma ha chiesto alla Corte d’Assise di acquisire. Nell’audio un testimone riferisce che un colonnello della polizia investigativa era in possesso del passaporto di Regeni prima di effettuare la perquisizione, il 24 marzo del 2016, nell’abitazione dove viveva un appartenente alla banda criminale, sterminata a colpi di arma da fuoco dalle forze dell’ordine, che venne accusata falsamente dell’omicidio del ricercatore friulano.

L’audio, il passaporto nell’appartamento e i file video della metropolitana tagliati

Il passaporto di Giulio, insieme ad altri oggetti, venne fatto trovare in quell’appartamento dalle autorità egiziane. messo lì apposta per depistare e dare una falsa verità sulla sua morte. Non solo: dall’analisi dei tabulati sono emersi contatti tra lo stesso colonello della polizia e uno degli imputati. In aula è stato mostrato un video, già noto in Italia, in cui vengono intervistati i parenti della presunta banda di criminali. Come ha poi riferito il colonello del Ros, Onofrio Panebianco, è emerso inoltre che alcuni oggetti, come il portafogli, porta occhiali e auricolare, trovati nell’appartamento e consegnati anni dopo agli inquirenti italiani, non appartenevano al ragazzo italiano. Depistaggi così come le azioni fatte sui video della videosorveglianza della metropolitana della capitale egiziana. In base alle analisi dei tecnici dei carabinieri del Racis e della Polizia Scientifica, vennero cancellati i file dei video della fermata del quartiere Dokki, dove venne agganciato per l’ultima volta il telefono cellulare del ragazzo, il 25 gennaio del 2016, giorno della sua scomparsa. «Abbiamo scoperto che del 25 gennaio 2016 non c’erano file video o immagini disponibili nel sistema – hanno dichiarato i consulenti -. In altri file, riferiti al periodo tra il 26 e il 29 gennaio si vedeva che la data di modifica era diversa da quella di creazione». Anche recuperando il file rimane un «buco di 18-20 minuti, fra le 19.49 e le 20.08». Nel corso dell’udienza il procuratore aggiunto Sergio Colaiocco ha reso noto che il teste “z”, un cittadino egiziano che ha fornito molti elementi utili alle indagini, non potrà venire a testimoniare in Italia «perché teme per l’incolumità sua e della famiglia. Quando in passato ha collaborato con la procura di Roma ed è stato arrestato per diversi mesi, proprio da uno degli imputati». Sarà invece ascoltata dopo l’estate e in videoconferenza, la docente dell’università di Cambridge, Maha Abdelrahman, che faceva da tutor a Giulio. Oggi i genitori del giovane, tramite il loro legale, l’avvocato Alessandra Ballerini, hanno affermato che «stanno emergendo sempre di più i depistaggi egiziani. Stiamo sempre di più mettendo a fuoco le responsabilità egiziane su depistaggi e manomissioni. Tassello, dopo tassello ci avviciniamo alla verità».

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