Europee, Von der Leyen rivendica l’asse con Meloni: «Lei chiaramente pro-Europa, diremo no agli amici di Putin»
Da Bruxelles – «Con Giorgia Meloni ho lavorato bene, è chiaramente una leader pro-europea. Ma terremo ai margini i partiti di estrema destra che vogliono smantellare l’Ue e strizzano l’occhio alla Russia di Putin». Ursula von der Leyen si muove su un terreno delicatissimo, quello degli equilibri politici della prossima possibile maggioranza in Europa. E il come e quanto della possibile apertura a destra – all’indomani dello scandalo Afd che ha scosso dall’interno Identità e Democrazia – è il tema che fa da sfondo a tutto il dibattito tra candidati alla guida dell’Ue svolto oggi al Parlamento europeo. Con un corollario surreale: che su quel palco tv transnazionale i leader dei due gruppi di destra non ci sono. Niente Erc, i conservatori guidati da Meloni, e niente Id, la famiglia dove siedono tra l’altro Lega e Rassemblement National di Marine Le Pen. Motivo molto semplice: entrambi i gruppi hanno rifiutato di esprimere un loro Spitzenkandidat, un loro candidato sia pure ufficioso alla presidenza della Commissione Ue. Un segnale implicito del loro rifiuto di riconoscere la dimensione sovranazionale della democrazia europea. Von der Leyen, che conosce da 5 anni la fatica di assemblare maggioranze al Parlamento europeo per fare passare tutti i provvedimenti Ue, è determinata però ad includere una parte dei sovranisti nella prossima maggioranza, e oggi ha messo in chiaro quale: «Chi è pro-Europa, pro-Ucraina e a favore dello stato di diritto» ha tutte le carte in regola per entrarvi. E Fratelli d’Italia, che porterà decine di deputati al prossimo Europarlamento, risponde secondo lei a questa descrizione.
La carica di Gozi e Reintke
Nell’ora e 45 di intenso dibattito – organizzato dalla European Broadcasting Union con pubblico e studi televisivi collegati da tutta Europa – Von der Leyen appare in realtà a più riprese provata, da una campagna elettorale frenetica che arriva al termine di 5 anni di presidenza della Commissione difficilissimi, tra Covid-19, guerre e crisi interne sullo stato di diritto. Ben altra carica mostrano sul palco alcuni degli altri candidati, che hanno ben poco da perdere e giocano quindi in attacco. Sandro Gozi, l’ex sottosegretario del governo Renzi ora vicinissimo a Macron, rappresenta i liberali di Renew e mette al centro la sua stessa storia per attrarre attenzione e voti: «Sono nato in Italia, sono stato eletto al Parlamento europeo in Francia e oggi sono qui a parlarne a Bruxelles. E l’Erasmus prima mi aveva cambiato la vita. Questa è l’Europa che vogliamo», è il suo “spot” dal palco. Da cui difende con particolare passione il recente Patto su migrazione e asilo e le idee made in France (Macron-Breton) di un fondo da 100 miliardi di euro per rafforzare la difesa comune europea di fronte alle minacce di Vladimir Putin. Spigliata e pimpante anche la candidata Ue dei Verdi, la 37enne tedesca Terry Reintke. Che punta tutto, oltre che su un rinnovato impegno contro il cambiamento climatico ovviamente, sull’argine da porre all’estrema destra che spadroneggia in mezza Europa, a partire dalla sua Germania. «Vogliono il male d’Europa e hanno legami con Russia e Cina. Dobbiamo respingere tutti insieme quella minaccia», incalza l’illustre connazionale Von der Leyen.
Gli attacchi di Schmit e Baier
I gruppi politici di sinistra si sono affidati per questa campagna a due politici decisamente più «stagionati», e i capelli bianchi e le voci roche di Nicolas Schmit (socialisti) e Walter Baier (The Left) faticano a tratti a tenere il ritmo importo dagli sfidanti più giovani. Schmit, lussemburghese che negli ultimi 5 anni ha gestito i dossier di lavoro e politiche sociali della Commissione, punta tutto sui suoi temi, rivendicando quanto fatto e quanto ancora da fare per «dare alle persone posti di lavoro e servizi sociali di qualità». Si anima, oltre che sull’argine da porre alle estreme destre, quando il discorso tocca il tema delle migrazioni, pungendo nel vivo Von der Leyen su una missione che l’ha vista particolarmente vicina a Giorgia Meloni: «Paghiamo con fondi Ue la Tunisia che deporta i migranti e li abbandona a morire nel deserto. Questa non è Europa», attacca rilanciando i risultati di una recente inchiesta giornalistica transnazionale. Ancor più duro sul punto va l’austriaco Baier, che si scalda parlando di «vergogna per l’Europa» azzardando un parallelo storico desunto dalla sua storia personale: «Mia madre è morta a Auschiwtz perché i confini di altri Paesi restarono chiusi ai rifugiati. Ora l’Europa lascia morire la gente chiudendo le sue porte ad altri rifugiati».
La solitudine di Von der Leyen
Da sfidante per definizione e oppositore “designato”, l’austriaco rilancia pure sulla politica internazionale. Dopo aver consegnato ai microfoni di Open la sua gelida valutazione su Israele («Dal fiume al mare lo sta facendo il suo esercito»), nel dibattito tv dribbla le difficoltà sull’Ucraina per affondare sul Medio Oriente: «Parliamo da 20 minuti di sicurezza e difesa e non abbiamo mai menzionato Gaza. Quando finalmente l’Ue sanzionerà Israele?». Von der Leyen non si scompone e ribadisce la linea critica con Israele, ma nella solidarietà assoluta per il massacro «da cui tutto è partito» del 7 ottobre. Ma è una presidente della Commissione stanca e sotto stress, unica tra i cinque candidati ad arrivare e poi andare via dall’emiciclo senza rispondere a una sola domanda dei giornalisti. In bilico tra il sogno di governare l’Ue per altri cinque anni e l’incubo di essere impallinata dai capi di Stato e di governo il giorno dopo le elezioni del 6-9 giugno. Mancano ancora due settimane, i colpi di scena potrebbero essere ancora molti e dietro l’angolo. Ma il prossimo presidente della Commissione potrebbe non essere nessuno dei cinque che si sono dati battaglia oggi sul palco dell’Europarlamento.
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