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Quei telefonini fuori dallo yacht di Spinelli? «Il mio non c’era: l’avevo in tasca». Ecco la difesa di Giovanni Toti nel memoriale. Velenoso sugli amici di Marta Fascina

23 Maggio 2024 - 22:26 Fosca Bincher
Negli articoli di giornale spesso questa distinzione non è stata fatta. Il governatore scrive per difendersi dall’opinione pubblica più che dagli inquirenti

Tra i telefonini lasciati su un tavolino per timore di essere intercettati all’ingresso dello yacht di Aldo Spinelli non c’era quello del governatore della Liguria, Giovanni Toti, che invece aveva il dispositivo con sé nella tasca della giacca una volta entrato all’interno dell’imbarcazione. Lo sottolinea lo stesso Toti nella memoria di 17 pagine che ha lasciato ai magistrati che giovedì 23 maggio lo hanno interrogato per la prima volta dal giorno dell’arresto. A dire il vero nell’ordinanza di custodia cautelare a domicilio i magistrati quel particolare non avevano contestato al Governatore della Liguria e nella foto finita su tutti i giornali come simbolo dell’inchiesta erano indicati nell’ordinanza tre telefonini di Spinelli e uno appartenente all’allora presidente dell’autorità portuale, Paolo Emilio Signorini. Negli articoli di giornale spesso questa distinzione non è stata fatta, ed è evidente che Toti come in altre parti del suo memoriale scriva oggi per difendersi dall’opinione pubblica più che dagli inquirenti.

Il tentativo di allontanare i sospetti di una fuga di notizie dalla procura

«Quanto ai telefoni lasciati fuori dalla imbarcazione», spiega Toti nella memoria, «nelle foto non si vede il mio telefono. Telefono che per altro era con me in molte occasioni anche sulla barca e a dispetto dell’atteggiamento altrui, visto che volevo essere sempre reperibile. D’altra parte nel caso di Punta dell’Olmo, o, della prima chiamata a Signorini per informazioni sulla calendarizzazione del Terminal rinfuse, appare evidente che avessi con me il cellulare visto che chiama dalla stanza dove si trova con gli Spinelli. È possibile che in rare situazioni Spinelli abbia chiesto di lasciare il cellulare, perché, come si è poi saputo, temeva di essere spiato da concorrenti a cui evidentemente non voleva far conoscere i suoi piani di impresa che discuteva con le istituzioni». Il passaggio serve ovviamente ad allontanare il sospetto di una fuga di notizie dall’inchiesta giudiziaria: a dire di Toti anche Spinelli non temeva di essere intercettato dai magistrati, ma dagli imprenditori concorrenti.

«Ho aiutato molti imprenditori ad avere in concessione una spiaggia pubblica»

La linea difensiva di Toti che si dipana in quelle pagine è quella di non negare di essersi dato da fare per aiutare progetti di investimento di Spinelli, ma di non averlo fatto solo per lui: nelle pagine di dipanano lunghi elenchi di episodi in cui ha aiutato la realizzazione di progetti di altri imprenditori che talvolta (è il caso di Aponte-Msc) lo hanno aiutato finanziariamente, ma altre volte no. Ad esempio, cita in due pagine molti altri casi in cui il Governatore si è dato da fare per assegnare a privati che avevano progetti di investimento turistico la concessione di spiagge pubbliche esattamente come ha provato a fare con il figlio di Spinelli. In questo caso il risultato non è stato ottenuto, negli altri casi riportati in giro per la Liguria la concessione della spiaggia invece è stata ottenuta.

Marta Fascina

I siciliani di Riesi che hanno votato Toti? «Garantiti» da due deputati di Marta Fascina

Anche se non contestata direttamente a lui, ma al suo capo di gabinetto, Toti si difende dall’accusa di voto di scambio con i siciliani della comunità riesina. Prima minimizza quell’apporto elettorale: «È da evidenziare che vinsi le elezioni con circa 380 mila voti. Il sostegno della comunità riesina si sostanzia, nelle indagini, con una certa approssimazione, di 400 voti, giusto per proporzione e per capire che l’apporto non è tale da turbare l’equilibrio democratico del voto». Poi Toti aggiunge un particolare non poco velenoso a proposito dei gemelli Testa, capi della comunità riesina: «I fratelli Testa venivano presentati come attivisti politici con incarichi in Regione Lombardia da due onorevoli. Nel loro curriculum vi erano incarichi politici legati alla giunta regionale lombarda. Entrambi gli onorevoli (Sorte e Benigni) ne garantivano le qualità personali». Il veleno è in quei due nomi: Alessandro Sorte e Stefano Benigni insieme all’attuale sottosegretario alle infrastrutture e ai trasporti, Tullio Ferrante, fanno parte di quella che veniva definita «la triade degli amici» di Marta Fascina con cui lei avrebbe voluto conquistare la tolda di comando di Forza Italia. I due venivano per altro da Cambiamo, il partito fondato da Toti che oggi si toglie quel sassolino dalla scarpa.

Claudio Burlando

Quei sassolini contro l’ex governatore del Pd, Claudio Burlando

Di sassolini Toti ne toglie anche altri nella puntigliosa difesa sui singoli episodi, e una delle vittime è l’ex Governatore della Liguria, il Pd Claudio Burlando, salito sullo yacht di Spinelli in questo stesso periodo proprio perché l’imprenditore si lamentava di non essere supportato dalle istituzioni (dalla Regione di Toti) nella sua battaglia per l’allungamento della concessione al Terminal Rinfuse, per cui Spinelli cercava il pressing delle opposizioni. A quel pranzo con il Pd, partecipò anche un altro imprenditore del porto amico di Burlando che aveva la stessa lamentela e la stessa esigenza di Spinelli. Su ogni punto delle accuse si difende, cercando di spiegare come molti suoi predecessori abbiano seguito la stessa linea di aiuto ai progetti imprenditoriali, ma anche come lui non abbia mai fatto pressing su chicchessia: «Non vi è stata», afferma «una messa a disposizione della carica differenziata tra datori di elargizioni liberali e non. E neppure alcun trattamento preferenziale su base politica».

Così fan tutti e così «io ho fatto con tutti», con o senza finanziamenti

Nelle prime pagine della memoria Toti rivendica con orgoglio questo suo stile di governo: «Nel mio percorso politico ho sempre perseguito l’interesse pubblico il quale è il fine unico ed ultimo della mia azione politica; tale fine è seguito, come costantemente rivendicato dal programma politico della maggioranza che mi sostiene, non già mediante la contrapposizione con le rivendicazioni dei privati, quanto piuttosto attraverso la veicolazione di queste verso l’interesse della collettività e del territorio, modalità con la quale si realizza la migliore essenza dell’interesse pubblico». Il Governatore cita «il pensiero Liberale, che rappresenta il faro della nostra azione politica». E spiega: «L’attenzione verso il mondo privato e dell’impresa è stata messa in campo con ogni genere di attività economica e quale che fosse la sua origine, senza alcuna discriminazione: aziende e persone fisiche sostenitrici della mia propria parte politica sono state ascoltate esattamente come soggetti notoriamente con orientamenti politici diversi o politicamente non esposti. Lo stesso dicasi per aziende e persone fisiche che nel tempo hanno contribuito ai comitati elettorali di Toti come aziende e persone fisiche che mai lo hanno fatto».

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