La Corte dell’Aja ordina a Israele di fermare l’offensiva a Rafah: «Rischio genocidio». Esulta Hamas, Netanyahu convoca i ministri
La Corte internazionale di giustizia dell’Aja ha ordinato a Israele di fermare l’offensiva militare a Rafah, la città più a sud della Striscia di Gaza dove sono stipati centinaia di migliaia di civili palestinese, e dove lo Stato ebraico ritiene siano nascosti molti leader di Hamas e decine di ostaggi. La decisione della Corte dell’Onu arriva in risposta a una richiesta urgente sottoposta dal Sudafrica nell’ambito della sua offensiva legale contro Israele. A fine gennaio la Corte si era espressa con un primo verdetto, ordinando a Israele di prendere una serie di misure «efficaci ed immediate» per prevenire a norma della relativa convenzione Onu un rischio di genocidio ai danni dei palestinesi di Gaza, pur astenendosi dal qualificare con tale termine l’offensiva israeliana in corso e dal prescriverne lo stop. A quattro mesi di distanza, con la pressione militare crescente attorno a Rafah, arriva ora la richiesta di fermare la macchina della guerra per lo meno in quell’area ad alta densità di popolazione, alla luce della situazione umanitaria “disastrosa”. «Nel rispetto della convenzione internazionale per la prevenzione del genocidio, Israele deve immediatamente fermare la sua offensiva militare e ogni altra azione nel governatorato di Rafah, che potrebbe infliggere sulla popolazione palestinese di Gaza condizioni di vita tali da portare alla loro distruzione fisica, totale o parziale», ha detto esponendo la sentenza il presidente della Corte Nawaf Salam.
Ostaggi, aiuti, indagini: le altre richieste della Corte
L’ordine su Rafah è stato preso dalla Corte con una maggioranza schiacciante di 13 voti contro 2: contrari solo i giudici di Uganda e Israele stesso. Nel verdetto si chiede alle autorità di Gerusalemme anche di consentire l’ingresso degli aiuti umanitari tramite il valico di Rafah, l’accesso senza impedimenti nella Striscia agli inquirenti della Corte per poter raccogliere prove dei possibili crimini di guerra, e di riportare sui progressi in tale direzione entro un mese. La Corte dell’Aja ha poi chiesto – ingiunzione questa rivolta ad Hamas – anche la liberazione «immediata e incondizionata» delle decine di ostaggi ancora prigionieri a Gaza dal 7 ottobre 2023, sottolineando le gravi preoccupazioni per il loro destino. Tra le richieste sottoposte la scorsa settimana, il Sudafrica chiedeva che la Corte ordinasse a Israele di fermare l’intera operazione militare nella Striscia, di assicurare l’accesso sicuro e il libero movimento di funzionari Onu, cooperanti e giornalisti, e di riportare alla Corte sui passi compiuti per rispettare tali indicazioni.
Le reazioni di Israele e Hamas
Subito dopo la pubblicazione del verdetto, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha convocato una riunione con i ministri più vicini, da quello della Difesa Yoav Gallant a quello degli Esteri Israel Katz, per preparare la risposta. Prima ancora di Netanyahu, a reagire senza peli sulla lingua al verdetto dell’Aja è però il ministro per la Sicurezza nazionale e leader della destra dei coloni Itamar Ben Gvir: «L’irrilevante sentenza della Corte antisemita dell’Aja dovrebbe avere una sola risposta: l’occupazione di Rafah, l’aumento della pressione militare e la completa distruzione di Hamas, fino al raggiungimento della completa vittoria nella guerra», ha detto Ben Gvir, citato dal giornale israeliano Ynet. Opposta la reazione di Hamas, che su Telegram ha accolto con favore la decisione della Corte, aggiungendo però che quanto da essa ordinato non è ancora abbastanza, poiché è necessaria «la fine dell’offensiva in tutta Gaza». Esulta per la sentenza della Corte Onu pure il Sudafrica, che definisce quella di oggi una pronuncia «più forte» della precedente di gennaio. Sul piano pratico, la Corte non dispone di strumenti per far applicare direttamente le sue decisioni, e Israele, così come gli Usa, non ne riconosce la giurisdizione. Qualsiasi Stato membro dell’Onu può però portare al Consiglio di Sicurezza un’ulteriore richiesta – di valore politico – di ordinare l’implementazione delle decisioni della Corte dell’Aja.
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