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Premierato, Renzi sfida Meloni sul referendum: «Se si farà e lo perde, dovrà dimettersi»

26 Maggio 2024 - 19:58 Massimo Ferraro
Il senatore toscano lasciò la carica di premier proprio dopo la sconfitta sulla sua proposta di riforma costituzionale del 2016

Il premierato non è ancora legge e già diventa la leva con cui una parte delle opposizioni spera di disarcionare dal governo Giorgia Meloni. La proposta dell’esecutivo punta a modificare 7 articoli della Costituzione per introdurre, tra le altre cose, l’elezione diretta del premier. Andando a toccare la Carta fondamentale, il testo dovrà essere approvato da entrambe le camere con due successive deliberazioni. Se nella seconda votazione, sia Camera che Senato, la legge ottenesse la maggioranza assoluta dei voti ma inferiore a quella di due terzi, un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali potrebbero chiamare i cittadini a esprimersi con un referendum. Succede che dal Festival dell’Economia di Trento, parlando della riforma, la presidente del Consiglio si lasci scappare un «ne vale la pena» di fare il premierato, «è una riforma necessaria in Italia, o la va o la spacca». Abbastanza perché Monica Maggioni le chieda a In Mezz’Ora se in caso di voto referendario negativo intende dimettersi. «No», risponde Meloni, «non mi fa paura l’idea del referendum e non lo considererò mai un referendum su di me ma sul futuro del Paese. Se non passa chissene importa». Una risposta che non è passata inosservata a Matteo Renzi, che proprio sulla bocciatura della sua legge di revisione costituzionale nel 2016 perse la poltrona di presidente del Consiglio. «Un consiglio a Meloni sul referendum da un esperto della materia: se perderà il referendum costituzionale dovrà andare a casa. Comunque», scrive sui social.

I precedenti di Cameron e Renzi

«Lei sembra confusa. Ieri dice: o la va o la spacca Oggi dice: se perdo non mi dimetto, chissenefrega Non è così, cara Presidente», prosegue il senatore toscano, che otto anni fa decise di giocarsi il suo posto a Palazzo Chigi proprio sul passaggio della sua proposta di riforma. «I referendum su progetti proposti dal Governo portano comunque alle dimissioni del primo ministro, in tutto il mondo. Che il premier voglia o no», è la posizione di Renzi, «anche David Cameron nel 2016 disse che non si sarebbe dimesso in caso di sconfitta ma fu costretto a lasciare Downing Street appena furono ufficiali i dati della Brexit». Poi suggerisce: «Il mio consiglio Meloni è semplice. Anziché preoccuparsi per la sconfitta, preoccupati di cambiare la riforma Casellati. Così non funziona. Non va. Se insiste su questa riforma che non sta in piedi e va al referendum, lo perde. E se lo perde va a casa». L’ex premier e sindaco di Firenze conclude: «Potrà andare a casa come ha fatto Renzi o potrà andare a casa come ha fatto Cameron. Ma comunque andrà a casa. Perché quando un Governo perde un referendum, diventa una sfiducia politica del Paese al Governo. E politicamente parlando non basta avere la fiducia del Parlamento. O la va o la spacca? La spacca, Giorgia, la spacca». Dello stesso avviso anche il Pd per bocca di Alfredo D’Attorre, responsabile Università della segreteria nazionale, secondo il quale la premier in 48 ore ha cambiato velocemente idea sulla madre di tutte le riforme: «L’aspetto più preoccupante è la conferma di un atteggiamento strumentale e di sostanziale estraneità rispetto all’impianto di fondo della Costituzione repubblicana, considerato come qualcosa di meno rilevante della durata del suo governo». Stesso pensiero del segretario di Più Europa, Riccardo Magi: «Per noi non ci sono dubbi: se questa forma di premierato arriverà a referendum e sarà bocciato dai cittadini, Giorgia Meloni non avrà alternativa alle dimissioni. Altro che “me ne frego“».

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