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L’attivista Maysoon inizia lo sciopero della fame in carcere. Il padre: «Scappava dall’Iran, perché subisce tutto questo?»

Maysoon Majidi, da oltre 5 mesi nel carcere di Castrovillari in Calabria, ha cominciato la protesta per respingere le accuse a suo carico. L'attivista iraniana Parisa Nazari a Open: «Soffre di attacchi di panico ed è pelle e ossa»

Maysoon Majidi, l’attivista curdo-iraniana per i diritti delle donne accusata di essere una presunta «scafista», ha iniziato lo sciopero della fame. «Ieri ha annunciato le sue intenzioni ai famigliari, stamattina mi ha confermato che digiunerà finché non verranno ascoltate le sue richieste», spiega il legale, Giancarlo Liberati. L’attivista e regista, da oltre 5 mesi nel carcere di Castrovillari, ha cominciato la protesta per respingere le accuse a suo carico. Ma anche per chiedere che venga fissata al più presto l’udienza al Tribunale del Riesame di Catanzaro per l’appello contro il rigetto dell’istanza con cui aveva chiesto gli arresti domiciliari in una struttura di Crotone, accettando anche di indossare il braccialetto elettronico. Il gip ha respinto la richiesta, accogliendo la tesi del sostituto procuratore della Repubblica Rosaria Multari, secondo la quale non ci sono elementi per ritenere attenuate le esigenze cautelari in considerazione del fatto che non si può escludere il pericolo di fuga. «Maysoon sta male: soffre di attacchi di panico, è dimagrita tantissimo e continua a domandarsi perché sta vivendo questo incubo», dice a Open Parisa Nazari, mediatrice interculturale e attivista iraniana dell’Associazione Women, Life & Freedom. «Siamo molto preoccupati – continua -. Quando sono andata in carcere a trovarla, l’ho abbracciata e lei era pelle e ossa. Rispetto alle foto che mi avevano mandato i familiari – prosegue -, era un’altra persona, un’altra donna, completamente trasformata nel volto e nel corpo».

«Una scelta fatta per disperazione»

A dicembre dello scorso anno, Majidi – che ha preso parte alle proteste nel Kurdistan iracheno – è arrivata sulle coste della Calabria dove è stata arrestata per «favoreggiamento dell’immigrazione clandestina». Per il regime iraniano è una minaccia, per l’Italia una presunta «seconda capitana». Le accuse a suo carico sono state mosse sulla base delle testimonianze di due dei 77 migranti interrogati che erano a bordo dell’imbarcazione. Dichiarazioni smentite dagli stessi “denuncianti” poiché – stando alle parole dell’avvocato della 28enne – frutto di «un’errata traduzione». L’incidente probatorio del 10 maggio scorso avrebbe potuto fare luce sulla vicenda, ma si è concluso con un nulla di fatto: il testimone, ora in Germania, è stato dichiarato irreperibile dalle autorità italiane. Eppure, al termine dell’istanza di inizio maggio l’avvocato è riuscito facilmente a rintracciarlo. Agli inquirenti di Crotone non è bastata nemmeno la confessione del cittadino turco, Ufu Aktur, che ha ammesso di essere l’unico capitano della barca. E, ora, la decisione «drastica» di intraprendere lo sciopero della fame. «Una scelta fatta per disperazione», afferma Nazari. «Majidi ha cercato di farsi sentire e non è stata creduta. Si è trovata costretta a compiere questo gesto estremo». L’attivista è consapevole che dovrà affrontare il processo, ma chiede di non dover attendere in cella l’inizio delle udienze.

L’appello del padre e delle associazioni per i diritti umani

Nel frattempo il padre di Maysoon, Esmail Majidi, «è in attesa di giustizia», dice. «Mi aspettavo che i giudici si convincessero logicamente che mia figlia non è una trafficante, ma una persona che è fuggita dall’Iran per motivi di sicurezza e si è rifugiata nel Kurdistan iracheno. Sfortunatamente, anche lì, insieme a mio figlio Razhan, – continua il padre – sono stati bersagliati con continue minacce e ostilità e costretti ad andare in Turchia». In due occasioni, la famiglia della 28enne ha «pagato somme ingenti» per farla arrivare in Italia, dove una volta approdata sulle coste calabresi è stata fermata perché «non c’era un interprete adeguato che potesse comunicare con mia figlia. Sembra che in Occidente non ci siano orecchie pronte ad ascoltare».

Pertanto, Majidi chiede a tutte le organizzazioni e istituzioni di fare «un passo più deciso» per liberarla. «Vi prego di ascoltare il disperato messaggio di un padre che per il dolore per la propria figlia finora ha avuto due infarti, continuando a coltivare la speranza che i magistrati giudichino secondo la loro coscienza affinché le generazioni future possano giudicarli correttamente», conclude. Anche le attiviste e gli attivisti di «Donna, vita, libertà» stanno lavorando a un appello, che uscirà nei prossimi giorni, per denunciare «tutte le situazioni inammissibili che coinvolgono i richiedenti asilo che arrivano in Italia in fuga dai regimi come quello iraniano – prosegue Nazari -. È assurdo che gli interpreti non parlino le lingue o che i passeggeri delle imbarcazioni non vengono ascoltati. Maysoon è una donna iraniana, un’attivista, che scappa da un regime misogino e liberticida e non può subire un trattamento che avrà anche ripercussioni sulla sua condizione fisica e, sopratutto, psicologica».

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