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USA: «No all’uso di armi americane per colpire la Russia». E su Israele il portavoce Kirby precisa: «La nostra politica non cambia dopo Rafah»

«L’ingresso di un carro armato, di per sé non rende un’operazione di grosse dimensione», ha detto il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale americana parlando di Gaza

Anche se il segretario generale dell’Alleanza Atlantica Jens Stoltenberg spinge sull’uso da parte di Kiev di missili forniti da Paesi occidentali per colpire la Russia gli americani gettano acqua sul fuoco. «Non c’è alcun cambiamento nella nostra politica su questo punto. Non incoraggiamo né consentiamo l’utilizzo di armi fornite dagli Stati Uniti per colpire all’interno della Russia», ha detto in un briefing il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale John Kirby. Il presidente USA Joe Biden ha inoltre ribadito oggi che non intende inviare truppe Usa in Ucraina. «Non ci sono soldati americani in guerra e sono determinato a mantenere le cose così ma resteremo al fianco di Kiev», ha detto durante il discorso per la cerimonia delle lauree all’accademia militare di West Point.


Su Rafah in corso «operazione limitata»

Dopo il raid di domenica contro Rafah, il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale americana John Kirby ha ribadito che «la politica non cambia». «È appena successo, gli israeliani investigheranno», ha sottolineato precisando che Washington «non si vuole girare dall’altra parte». L’operazione a Rafah però è da considerare finora «limitata». «L’ingresso di un carro armato, di per sé non rende un’operazione di grosse dimensione», ha ribadito.


La preoccupazione cinese

L’amministrazione Usa semmai si è detta «profondamente preoccupata» per le estese esercitazioni militari cinesi nello Stretto di Taiwan. «Stiamo monitorando attentamente le attività della Cina e ci stiamo coordinando con i nostri alleati», si legge in una dichiarazione del portavoce del Dipartimento di Stato Matthew Miller. «Esortiamo fortemente Pechino ad agire con moderazione», ha precisato il funzionario sottolineando che «utilizzare una transizione normale, di routine e democratica come scusa per provocazioni militari rischia di provocare un’escalation».

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