La lotta dei media indipendenti nell’Ungheria di Orbán. Il direttore di Klubrádio: «8 milioni di euro dai nostri supporter» – Le interviste
La libertà di stampa è sotto attacco in Ungheria. Lo scrive Human Rights Watch nell’ultimo report «I can’t do my job as a journalist». I media statali – spiega l’autrice Lydia Gall – hanno smesso di fingere di essere imparziali già da tempo. Quelli indipendenti sono stati gradualmente smantellati o riconvertiti a mezzi filo-governativi a partire dall’ascesa al potere di Viktor Orbán. Le campagne diffamatorie contro i giornalisti e la concentrazione dei media privati nelle mani di oligarchi vicino all’esecutivo rivelano – secondo il report – una sistematica compromissione dell’indipendenza e del pluralismo, pilastri fondamentali di una società democratica. Eppure, di voci indipendenti che resistono ce ne sono. Si sono reinventate.
Nel 2020 Szabolcs Dull, caporedattore del sito di informazione indipendente ungherese Index, viene licenziato. Oltre settanta giornalisti rassegnano le dimissioni e scendono in strada a manifestare. «In Ungheria lo spazio per la libertà d’informazione è diventato sempre più piccolo negli ultimi anni», dice a Open Dull, giornalista e analista politico. Nonostante ciò «molti reporter indipendenti riescono ancora a lavorare, i loro articoli vengono pubblicati – continua -. Io sono attualmente libero di scrivere una newsletter politica e di pubblicare qualsiasi informazione politica: è una questione di quanto ampio sia il pubblico che raggiunge le informazioni reali». Un anno dopo Klubrádió, l’ultima radio libera del paese, è costretta a lasciare per sempre l’etere. Ma András Arató, direttore e proprietario dell’emittente, non si dà per vinto e inizia a trasmettere sulla piattaforma internet, mandando in onda l’Inno alla Gioia, l’inno ufficiale dell’Unione europea. «Oggi abbiamo più ascoltatori di prima», dice a Open Arató. Ma come siamo arrivati a questa erosione della libertà di stampa in Ungheria?
Il tramonto dell’ultimo media indipendente: Index
Il 24 luglio del 2020 più di 80 giornalisti della testata Index, all’epoca una delle poche realtà indipendenti e la più autorevole nel Paese, hanno rassegnato le dimissioni per protestare contro le interferenze della proprietà del giornale filo-governativa nelle scelte editoriali. La mossa dei giornalisti è arrivata dopo il licenziamento in tronco del caporedattore Szabolcs Dull da parte di Miklos Vaszily, l’oligarca vicino a Orbán in possesso del 50 per cento della piattaforma e proprietario della televisione TV2 e del sito Origó. Da tempo Dull denunciava nei suoi editoriali le crescenti pressioni del governo sul mondo dell’informazione, avvertendo che quel che restava della libertà di stampa in Ungheria era in grave pericolo. A distanza di 4 anni, il giornale è ancora online. Ma ha cambiato faccia: «Il problema che il governo e Orbán avevano con il mio giornale era che noi trattavamo argomenti scomodi – spiega il giornalista -. Facevamo domande a cui non rispondevano, ma volevano controllare il contenuto e il funzionamento di Index. Quello che una volta era un giornale indipendente ora è un giornale influenzato dal governo, ma il nome e la grafica sono gli stessi. Fanno finta che non sia cambiato nulla, ma certe notizie sgradite al governo non compaiono».
I giornalisti devono affrontare tutt’oggi molti ostacoli: «I membri del governo, i ministeri e i leader ungheresi non rispondono alle domande, rendendo difficile ottenere informazioni equilibrate», sottolinea. «Siamo spesso trattati come nemici e contro di noi vengono condotte campagne di discredito. Io stesso ne sono stato oggetto: dopo il mio licenziamento un media online influenzato dal governo ha pubblicato dettagli dei miei tabulati telefonici». Il premier ungherese considera i media come attori politici e «vuole essere in grado di influenzarli – spiega Dull -. Quelli che non controlla sono chiamati dal governo “media del dollaro”, mentre i reporter indipendenti “giornalisti della sinistra del dollaro”. Ciò significa che per l’esecutivo servono interessi stranieri e sono pagati dagli Stati Uniti. Orbán non ha intenzione di punire questi media, semplicemente non vuole che molte persone li leggano o li guardino».
Quello ungherese non è, però, un fenomeno isolato: in molti Paesi dell’Unione sempre più leader politici cercano di controllare, con ogni mezzo, l’informazione. E nonostante l’Ue abbia adottato la sua prima legge sulla libertà dei media, l’European Media Freedom Act, in molti Stati gli esecutivi continuano a schiacciare e ridurre lo spazio di manovra per il giornalismo. È ciò che emerge dal rapporto di Reporter senza frontiere sulla libertà di stampa. «Alla politica piace sempre avere un’influenza sui media, non è insolito. Ma è compito dei giornalisti stabilire i limiti e comunicarli chiaramente ai lettori – afferma Dull -. È importante, ad esempio, che i giornalisti italiani segnalino in cosa non si lasceranno coinvolgere. Non devono finire a servire gli interessi di un politico, invece degli interessi dei lettori. Anche la solidarietà è importante: i giornalisti devono sostenersi a vicenda quando un media viene attaccato», conclude.
L’erosione della libertà di stampa in Ungheria
A Budapest l’erosione della libertà di stampa ha subìto un notevole peggioramento a partire dal 2010 quando Fidesz e il Kdnp (il partito popolare cristiano democratico), dopo 8 anni di governo socialista, hanno conquistato la maggioranza in Parlamento. La coalizione ha rivisto la legge ungherese sui media aprendo, di fatto, la strada al controllo dell’intero settore attraverso l’istituzione di una Media Authority i cui membri vengono nominati e sorvegliati dal governo. Secondo la tesi ufficiale, si tratta di una stretta di «importanza strategica nell’interesse pubblico». Tale controllo governativo è stato rafforzato con la creazione nel 2018 della fondazione privata Central European Press and Media Foundation (Kesma).
Poco dopo la sua formazione, gli editori dei mezzi d’informazione, oligarchi e imprenditori vicini al governo, hanno trasferito le loro proprietà a Kesma, che ora controlla più di 470 media. «Questa concentrazione mina il pluralismo, distorce il mercato dei media e impedisce alle persone di accedere a informazioni indipendenti», dice a Open Lydia Gall, ricercatrice di Human Rights Watch per l’Ungheria. Secondo la studiosa, Orbán e i suoi hanno voluto espropriare la popolazione ungherese di uno strumento indispensabile alla democrazia, mettendo a tacere tutte le voci dissenzienti. «Controllando il messaggio, le notizie che arrivano agli ungheresi sono distorte e incomplete. Ciò non consente loro di avere le informazioni necessarie per fare scelte consapevoli», precisa Gall.
La battaglia di Klubrádió
Era il 14 febbraio del 2021 quando Klubrádio salutava i suoi radioascoltatori sui 92,9 MHz delle frequenze nazionali. Dopo 12 anni di messa in onda, 500mila ascoltatori e una redazione di circa 100 giornalisti l’emittente radiofonica indipendente chiudeva i battenti. «Siamo riusciti a sopravvivere in questa nicchia finché non ci siamo trovati nel mirino della “democrazia illiberale” di Orbán», racconta a Open il direttore e proprietario dell’emittente, András Arató. Il garante, nominato del governo, l’ha privata della licenza. Per l’Autorità che controlla i media, Klubrádio – che ha visto respinto il suo ricorso dalla Corte di giustizia di Budapest – non avrebbe notificato in tempo i contenuti trasmessi. Secondo l’opposizione a Orbán sarebbe stata, invece, messa a tacere per motivi politici. Anche la Commissione Ue si è esposta più volte sulla chiusura, invitando l’Ungheria a mantenere in onda l’emittente. «Nonostante ciò – continua Arató -, trasmettiamo via Internet, come esempio di resistenza contro gli attacchi ai media» in un Paese dell’Unione europea.
Per il giornalista, gli ostacoli alla libertà di stampa in Ungheria sono sostanzialmente due: «istituzionale e finanziario». Per quanto riguarda il primo, «tutti i media statali sono nella mani del cerchio magico di Orbán». Mentre dal punto di vista economico, «i mezzi d’informazione non possono andare avanti senza soldi. Ma il problema principale – sottolinea – è che il più grande finanziatore è lo Stato, che non sovvenziona i media indipendenti. E i privati hanno paura di investire perché potrebbero perdere contratti statali o ricevere, ad esempio, controlli mirati e inaspettati». Per sopravvivere online, l’emittente ha raccolto fondi con campagne di crowdfunding. «Abbiamo anche racimolato smartphone in una libreria di Budapest per regalarli alle persone che non avevano accesso a Internet. Così non abbiamo perso il nostro pubblico». Anzi,«oggi abbiamo più ascoltatori di prima», afferma Arató. Per compensare invece la perdita di introiti pubblicitari, la radio è passata a una forma di abbonamento con cui, in questi anni, «i sostenitori hanno raccolto circa 8 milioni di euro per mantenere viva la voce di Klubrádió». L’obiettivo di Orbán di svuotare il concetto di libertà dei media in Ungheria, per Arato, è stato ignorato per troppo tempo dall’Ue. «Finanziare un esecutivo che viola i valori fondanti non è una cosa molto democratica e l’Unione ha finanziato Orbán per 14 anni. È stato un grande errore», conclude il giornalista.
«Le fonti hanno paura di parlare»
In Ungheria è sempre più difficile per le testate indipendenti accedere alle informazioni che riguardano le “stanze del potere”. «Quando vengono pubblicate inchieste riguardanti l’esecutivo nei pochi canali online liberi, non succede nulla. Tutto viene insabbiato dalla propaganda governativa», spiega la ricercatrice di Hrw. «I giornalisti devono anche fare i conti con la possibilità di essere sorvegliati: molti professionisti ungheresi sono stati presi di mira dallo spyware Pegasus. E lo spyware non è stato necessariamente utilizzato contro i giornalisti, bensì contro le loro fonti. In generale, le persone hanno paura di parlare con i giornalisti per timore di ripercussioni di vario tipo (ad esempio, la perdita del posto di lavoro)», sottolinea. «Ho perso delle fonti dopo l’incidente di Pegasus – spiega uno dei reporter in forma anonima, sul cui telefono è stato individuato il software – Ora è più difficile lavorare perché le persone hanno paura di parlare. Incontrarmi adesso comporta dei rischi extra». Ma il controllo governativo non si è fermato ai cosiddetti media tradizionali. Nell’ultimo periodo, il premier magiaro – anche in vista delle Elezioni europee 2024 – ha sguinzagliato la macchina della propaganda del suo partito Fidesz sui social media. «Sembra che gran parte della propaganda di Orbán si concentri sui social network, utilizzando (e pagando con i soldi dei contribuenti) gli influencer per ripetere i messaggi dell’esecutivo e diffamare i media indipendenti e i politici dell’opposizione».
L’eterna lotta contro Bruxelles
Secondo la relazione del Parlamento europeo, la repressione della stampa fa parte della più ampia erosione dello stato di diritto in Ungheria, uno dei valori fondanti dell’Unione. Nel settembre 2018, il Parlamento europeo aveva chiesto per la prima volta al Consiglio di determinare – ai sensi dell’articolo 7 del trattato sull’Ue – se vi era stato un rischio di violazione di tali valori da parte dell’Ungheria. Al 2022 risale lo stop dei circa 22 miliardi di euro che Budapest avrebbe dovuto ricevere dai cosiddetti fondi strutturali del bilancio pluriennale. In quell’occasione, l’Eurocamera aveva sollevato una serie di preoccupazioni riguardo al funzionamento delle istituzioni del Paese, fra cui la scarsa indipendenza della magistratura, corruzione, conflitti d’interesse, un pluralismo dei media svuotato e una ripetuta violazione di diritti delle persone Lgbt+, delle minoranze etniche e dei richiedenti asilo. Ma una parte di tali finanziamenti (10 miliardi circa) erano stati, poi, sbloccati nel 2023, nonostante le polemiche sulla mancata adozione delle norme richieste dall’Ue.
Negli ultimi mesi le relazioni tra Bruxelles e Budapest si sono ulteriormente inasprite a causa delle preoccupazioni sul perseguimento di una politica estera da parte dell’Ungheria favorevole alla Russia, minando l’unità occidentale a sostegno dell’Ucraina. In una risoluzione votata nel gennaio 2024, i deputati hanno, infatti, espresso nuovamente la loro preoccupazione per l’erosione della democrazia, dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali. Il voto è arrivato come risposta immediata alla legge sulla «protezione della sovranità nazionale»recentemente adottata dal Parlamento ungherese e a seguito dell’ultima mossa di Orbán in Europa per bloccare la decisione-chiave sulla revisione del bilancio a lungo termine dell’Unione, compresi gli aiuti a Kiev. «Ora che l’European Media Freedom Act è stata adottata, l’Ue dovrebbe avviare una procedura di infrazione contro l’Ungheria per violazione della legge – spiega la ricercatrice di Human Rights Watch -. E dovrebbe, inoltre, sottolineare i legami esistenti tra erosione della libertà di stampa e minaccia alla democrazia e allo stato di diritto nei procedimenti in corso ai sensi dell’articolo 7 del Trattato dell’Ue. La Commissione dovrebbe, infine, sostenere i giornalisti indipendenti in Ungheria e pronunciarsi pubblicamente contro gli attacchi alla libertà dei media. Ma finché ci sarà l’attuale governo – conclude Gall -, sarà difficile ottenere un cambiamento».
Questa inchiesta è la terza della serie sui movimenti giovanili in Europa. La serie è parte di EUtopia, un progetto di Open in collaborazione con la rappresentanza in Italia della Commissione europea e del Parlamento europeo.
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