Nicolò Fagioli, dalla squalifica per le scommesse alla Nazionale: «Non ero più padrone di me». L’«abisso» dopo gli allenamenti
La noia che ti attira come un vortice, la solitudine che ti aggredisce nonostante il successo, le scommesse iniziate per gioco e poi diventate un’ossessione. In una intervista esclusiva alla Gazzetta dello Sport il calciatore Nicolò Fagioli racconta a Walter Veltroni come è finito nella ludopatia, come ha rischiato di buttare al vento la sua carriera, e come in questi mesi di squalifica abbia ripreso in mano la sua vita. «Ma sarei un bugiardo se dicessi che non riaffiora, che non fa sentire ogni tanto il suo canto seducente», ammette, «non ho smesso e non smetto di combatterla, ma ora la domino pensando semplicemente. a quanto male mi ha fatto. Basta una volta per ritornarci sotto, è una biscia che ti avvinghia e non ti molla». Il 23enne ha scontato la squalifica e pochi giorni fa è tornato in campo, per la penultima di campionato contro il Bologna ed è stato pre-convocato da Spalletti per gli Europei in Germania. «Quando sono scoppiato a piangere, nella partita con il Sassuolo, non era solo per aver messo in difficoltà la mia squadra, ma perché in quel momento è scesa una cappa nera, tutto mi sembrava negativo», racconta il calciatore ricordando Sassuolo-Juventus del 16 aprile 2023, «il gioco mi aveva divorato la vita, era diventato un assillo, un incubo». Fagioli riconosce di avere una vita privilegiata, ma non per questo può nascondere di avere un problema: «Sono stato inghiottito da un vuoto che non guarda in faccia nessuno, non distingue per classe sociale, non premia né assolve in base al talento. Mi sentivo soffocare ma non trovavo il modo di venirne fuori».
La noia
Tutto è iniziato per gioco, come accade praticamente sempre, un passatempo dopo le sedute in campo. «Quando finiscono le 4-5 ore di allenamento, ti si spalanca il vuoto. Se non hai altri interessi, quell’abisso ti attira. Io mi annoiavo, sembra assurdo ma è così. Il successo non è un’armatura che resiste alla solitudine», spiega il 23enne, confessando che era diventato dipendente dal cellulare, dalle giocate, mentre perdeva concentrazione, lucidità e il rapporto con i compagni. I quali poi lo hanno sostenuto e aiutato, una volta capito il problema, ma intanto in quei mesi si sentiva sempre più solo. Dopo lo scandalo e l’allontanamento dal campo, con la società che gli ha comunque garantito il rinovo del contratto, il calciatore ha iniziato un percorso di terapia e ha partecipato agli incontri nelle scuole frutto dell’accordo con la procura federale. «Vorrei dire a tutti i ragazzi che soffrono che non bisogna aver paura di chiedere aiuto», aggiunge ora, «non ho truccato partite, non ho condizionato risultati. Ho sbagliato, giocando su siti illegali e ho perso un sacco di soldi. Perché lo so, ma lo sapevo anche allora, che con quei giochi si perde e basta. E non solo denaro. Mi facevo schifo, mi sentivo un cretino. Ma non potevo farne a meno».
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