Caso De Luca, Meloni a valanga su Rete 4: «Sveglia femministe!». L’attacco al presidente della Cei Zuppi: «Non s’immischi sul premierato»

Ospite di “Diritto e rovescio”, la premier difende a spada tratta la riforma della Costituzione e quella della giustizia

È una Giorgia Meloni pimpante e senza freni quella che a nove giorni dall’apertura delle urne per le elezioni europee si presenta in tv, ospite di Dritto e rovescio su Rete 4. Mezz’ora di intervista in una trasmissione alquanto “calorosa” nei suoi confronti, nella quale la premier tocca molti temi, dall’economia alla sanità, dalla riforma della giustizia al premierato, sino alle polemiche che l’hanno vista contrapposta in questi giorni a Vincenzo De Luca ma anche a Matteo Maria Zuppi. Intervistata da Paolo Del Debbio (in collegamento), Meloni gioca sempre all’attacco. «Vincenzo De Luca è un signore che passa la sua giornata a fare sproloqui perché evidentemente non ha di meglio da fare e se la prende più o meno con tutti, ma non ha mai usato una parola del genere (str***a, ndr) con nessun altro. Quindi qual è il messaggio che noi stiamo dando? Che le donne si possono insultare liberamente perché sono deboli? Le donne non sono deboli, io non sono una persona debole, sono deboli i bulli, sono deboli quelli che fanno i gradassi alle spalle, ma quando li affronti, come ho fatto io e come si è visto, i gradassi non li fanno più. E allora io rifarei quella cosa cento volte, non solo per me, ma per tutte le donne che si pensa di poter insultare liberamente», ribadisce la premier sul caso dello scontro col governatore della Campania, su cui tocca a punzecchiare pure la segretaria del Pd Elly Schlein («Non ha il coraggio che ci si aspettava da lei per cambiare le cose, come leader e come donna»), ma anche il mondo del femminismo: «Sveglia femministe! – urla a più riprese – Perché sono le battaglie che una volta facevate voi. Sveglia!».


Dai nemici mi guardo io…

Meloni difende a lungo pure il progetto di riforma della Costituzione che sta portando avanti la sua maggioranza in Parlamento. Senza timore di rispondere a tono al presidente della Cei Matteo Maria Zuppi, che aveva bollato il premierato un errore sul quale non procedere. «Non so esattamente cosa preoccupi la Cei, visto che la riforma non interviene nei rapporti tra Stato e Chiesa. Inoltre, con tutto il rispetto, non mi sembra che lo Stato Vaticano sia una repubblica parlamentare, quindi nessuno ha mai detto che si preoccupava per questo», replica la presidente del Consiglio. «E quindi – chiosa – facciamo che nessuno si preoccupa». Difesa a spada tratta anche per la riforma della magistratura varata propio ieri dal governo. Sollecitata sul caso Toti, Meloni torna ad attaccare pure la cosiddetta “giustizia a orologeria”. «Mi piacerebbe in futuro, non solo per Giovanni Toti ma per qualsiasi italiano, che tra quando viene formulata una richiesta di misure cautelari e quando viene eseguita, non passassero mesi per poi magari eseguirla guarda caso in campagna elettorale», dice Meloni.


L’imam all’università, Meloni: «Siamo uno Stato laico»

Dopo aver sventolato per lunghi istanti un prospetto cona la serie storica degli investimenti dei diversi governi degli ultimi anni sulla sanità – per provare a suo dire come il suo esecutivo sia il più “generoso” in materia – Meloni prende di petto pure un’altra vicenda salita agli onori delle cronache nei giorni scorsi dopo: quella dell’Imam Brahim Baya, invitato dai collettivi a guidare una preghiera all’Università di Torino condita da un comizio violentemente anti-israeliano. Sulla vicenda erano intervenuto sia il rettore dell’ateneo coinvolto, per confessare la sua impotenza nell’ambito dell’occupazione studentesca, sia la ministra dell’Università Anna Maria Bernini, prendendo le distanze dall’iniziativa. «È il risultato di una cultura che ho combattuto e che combatto, per la quale la laicità dello Stato si deve applicare solamente contro la religione cattolica: perché noi dobbiamo togliere i crocifissi dalle aule delle nostre scuole, ma sia chiaro che se arriva un imam e si mette a inneggiare la jihad dentro un’università, quello va bene», attacca ora Meloni. «Non è e non sarà mai il mio modello e mi auguro ancora di avere uno Stato italiano che fa rispettare le regole, perché a casa nostra la propaganda jihadista non si può fare e quindi mi aspetto che ci sia qualche magistrato che si occupi di questa persona», ha concluso la premier.

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