Usa, la rivolta contro l’obbligo di mancia. La storia di Elisa: «Una volta mi lasciarono 300 dollari, stavo per svenire»
Stanno finendo i tempi in cui lasciare la mancia al cameriere era un gesto piacevole e spontaneo. Inizia a crescere, in molti Paesi, la frustrazione dei clienti che ora iniziano a ribellarsi contro quella che una volta era una tradizione cortese. Robert Calver, un cliente di fast-food del Michigan negli Stati Uniti, ha recentemente scatenato un dibattito acceso con il suo video diventato virale su TikTok, in cui critica la cosiddetta «ricompensa facoltativa», che di facoltativo spesso ha ben poco, soprattutto negli Usa. Con oltre un milione e mezzo di visualizzazioni, il suo messaggio ha trovato risonanza tra migliaia di utenti che si sentono costretti a lasciare una mancia anche quando il servizio è minimo o quando le pietanze sono già di base molto costose. Anche se in un paese come gli Stati Uniti, dove la mancia è praticamente un obbligo, la battaglia di Calver potrebbe sembrare una missione quasi impossibile.
La mancia automatica nel Pos
Negli Usa (ma non solo), chi lavora nel settore della ristorazione è spesso sottopagato, e la mancia rappresenta una parte significativa del loro reddito. Rifiutarsi di lasciarla spesso viene percepito come maleducazione. Tuttavia, i costi già elevati di pranzi e cene nei ristoranti americani, ulteriormente aumentati dalle mance del 20-25%, hanno portato molti clienti a sentirsi quasi derubati. Un altro elemento che alimenta la polemica è l’uso diffuso dei pagamenti elettronici, che spesso propongono automaticamente le percentuali di mancia da lasciare, riducendo la libertà del cliente di decidere in base alla qualità del servizio ricevuto. Questa situazione ha provocato polemiche non solo negli Stati Uniti, ma anche in paesi come l’Inghilterra, dove ci sono state rivolte contro le mance obbligatorie nei ristoranti e in India, dove lo scontento cresce nei confronti di mance ritenute eccessive.
La storia di Elisa, cameriere in California
Elisa Costa, 21 anni, è una studentessa universitaria di Bologna che in passato ha lavorato per due mesi come cameriera in un ristorante a Glendale, California. In un’intervista a la Repubblica mette in evidenza quanto, per chi fa il cameriere, le mance siano fondamentali. «Se non ci fossero state le mance, sarebbe stato impossibile vive a Glendale», racconta Elisa, spiegando che più della metà del suo stipendio derivava proprio dalle mance. Durante il suo lavoro, guadagnava 17 dollari l’ora, circa 80 al giorno, ma grazie alle mance riusciva a portare a casa in media 230 dollari al giorno. Cifre che devono essere paragonate all’elevato costato della vita del luogo: «Una stanzetta in affitto costava sui 1.500 dollari. Una pepsi anche 8 dollari».
La mancia da 300 dollari
I clienti potevano scegliere se aggiungere il 15, 18 o 25 percento alla somma totale, o lasciare una cifra a loro discrezione. Alcuni clienti lasciavano pochissimo, altri niente, ma Elisa – come racconta lei stessa – non li rincorreva certo per il locale. Qualcuno, però, non si tirava indietro. «Nella zona ci sono tanti armeni molto ricchi. Una volta un gruppo mi chiese di sedersi nel tavolo più grande, li accontentai perché il locale era quasi vuoto. Alla fine della cena mi lasciarono 300 dollari, stavo quasi per svenire», racconta la 21enne a colloquio con Giulia D’Aleo. «Anche a me scocciava spendere molto di più quando andavo a mangiare fuori. Ma c’è molta libertà, ognuno può scegliere di fare come preferisce. Poi, è ovvio, non si può impedire che a fine turno i camerieri si lamentino dei clienti più tirchi», conclude Elisa.
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