Parla la manager licenziata dopo lo stupro di gruppo: «Cacciata dalle donne dell’ufficio. Nessun collega si è più fatto sentire»

L’avvocato che assiste la 32enne di Torino annuncia di voler denunciare la società per mobbing e discriminazione. Ha intenzione di impugnare il licenziamento, per quanto sarà improbabile un effettivo reintegro

L’amarezza più grande è rivolta agli ex colleghi da parte della manager 32enne di Torino, licenziata da un’azienda milanese attiva nel campo della moda dopo essere stata vittima di uno stupro di gruppo ai Navigli. Più volte al suo avvocato Alexander Boraso, riporta la Stampa, ha ripetuto dallo scorso marzo: «Quello che mi ha fatto più male è essere stata licenziata da una donna. Anzi – dice la manager – tutte quelle che, alla fine, hanno deciso di farmi fuori dall’azienda sono donne. E io che ho sempre creduto alla solidarietà femminile… poi dopo quello che sono stata costretta a subire, pensavo davvero di trovare un po’ di umanità, di supporto, almeno di comprensione. Invece mi sono sbagliata e, a un grande dolore, se n’è aggiunto un altro».


La violenza sessuale ai Navigli

La 32enne è stata vittima di uno stupro da parte di tre giovani, che per una notte intera l’hanno segregata in uno scantinato lungo i Navigli a Milano. I tre sono stati identificati, arrestati e uno è già stato condannato in primo grado. Il giorno dopo quelle violenze, la donna si era comunque presentata al lavoro. Erano stati proprio i suoi colleghi a consigliarle di farsi visitare alla clinica Mangiagalli: «Le dimostrarono vicinanza – spiega l’avvocato – almeno così sembrava». Da allora la 32enne ha trascorso settimane sotto terapia psicologica, è stata ricoverata e poi è tornata in azienda, per quanto sentisse ancora forte il peso di quel dramma subito. «All’inizio, anche se faticavo un po’, non riuscivo a lavorare dodici ore al giorno, certo. Ma sembrava tutto come prima – ricorda la donna – ero contenta. Dopo un po’, però, capii che qualcosa era cambiato, che i miei incarichi non erano più quelli di prima».


Il vuoto intorno e il licenziamento

Nonostante sembravano esserci promettenti prospettive di carriera, per la manager il lavoro una volta tornata è stato sempre più diverso da prima. «Viaggiavo di meno, avevo meno responsabilità. Poco per volta mi sono accorta che intorno a me si creava una specie di vuoto. E questo anche se io non avevano mai avuto una contestazione disciplinare, ma avevo sempre fatto il mio, perché sono innamorata del mio lavoro». Arriva quindi la convocazione del responsabile delle risorse umane. La 32enne sperava di poter discutere del suo futuro, ma invece la sua carriera stava per essere interrotta. A parlare è una collega che le comunica il licenziamento: «In un’ottica di maggior efficienza abbiamo deciso di riorganizzare le nostre attività, sopprimendo la posizione di “Service Merchandiser”».

La causa per mobbing e discriminazione

A fronte di questo comportamento da parte dell’azienda, l’avvocato che assiste la manager è intenzionato non solo a impugnare il licenziamento, ma anche a denunciare la società per mobbing e discriminazione. Per la 32enne il legale chiederà il reintegro: «Anche se credo che sarebbe complicato per lei tornare alle sue mansioni di prima, dopo quello che è successo. E perché nessuno dei suoi ex colleghi da quel giorno si è più fatto sentire nemmeno per chiederle come stava».

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