Il decreto di Giorgia Meloni contro le liste d’attesa della sanità: «È senza soldi, non ha senso»

Le due novità sulle prestazioni e sugli esami il sabato e la domenica. Le critiche delle Regioni: «Quelle misure già le adottiamo»

L’appuntamento per il Consiglio dei Ministri è a Palazzo Chigi per le 11 e 30. Il menu prevede uno schema di decreto legge intitolato “Misure urgenti per la riduzione dei tempi delle liste di attesa delle prestazioni sanitarie” e un disegno di legge chiamato “Misure di garanzia sulle prestazioni sanitarie”. Giorgia Meloni e Orazio Schillaci lo presenteranno e Giancarlo Giorgetti proverà a fare muro in nome del Mef. Per motivi di costi. Ma l’argomento è troppo importante per la premier che punta a sfondare alle elezioni europee. Con i tempi per le visite in aumento e l’argomento era stato già affrontato nella Legge di Bilancio. Senza evidentemente risolvere il problema.


Le due novità

Il decreto, spiega oggi La Stampa, contiene due novità. La prima, illustrata dalla nota illustrativa del provvedimento, è che «se le prestazioni non vengono erogate nei tempi previsti dalle vigenti classi di priorità, le aziende garantiscono al cittadino la prestazione in intramoenia o attraverso il privato accreditato». E si specifica che «le modalità sono definite con decreto del ministro della Salute entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione». Proprio su questo punto a via XX Settembre sembrano essere piuttosto nervosi. Perché se i privati dovranno garantire all’assistito (che dovrà comunque anticipare i soldi) le prestazioni si rischia un aumento dei costi che al ministero calcolano attorno al miliardo di euro. E già questo basta a far saltare dalla sedia un Giorgetti sempre più nervoso (anche se ieri ha smentito le voci sulle dimissioni).


Le visite sabato e domenica

Poi ci sono le visite e gli accertamenti diagnostici di sabato e domenica. Oltre che nella fascia serale. Anche qui c’è un problema di coperture abbastanza difficile da risolvere, visto che il lavoro serale si paga di più così come quello festivo. Schillaci ha fatto presente che il mezzo miliardo garantito alle Regioni in tre anni non è stato ancora speso. E quindi quei fondi sono disponibili. In più, una norma vieta la chiusura delle agende di prenotazione e obbliga il privato a condividere le proprie con il Cup regionale, altrimenti mette a rischio la convenzione. Ai Cup spetterà anche l’obbligo di richiamare i cittadini che prenotano visite che poi non effettuano. Si tratta del 20% dei casi. Si pensa di obbligare comunque al pagamento del ticket. Stop anche al doppio lavoro dei medici.

Le critiche

In ballo c’è anche l’aumento complessivo del 15% del fondo per le spese del personale. Mentre nel disegno di legge c’è l’aumento del 20% della tariffa oraria per le prestazioni aggiuntive, con la flat tax del 15% per le stesse ore extra. Rinviato l’aumento da 60 a 100 euro della tariffa oraria degli specialisti ambulatoriali delle Asl. Che si impegnano a ridurre le liste di attesa e gli incarichi libero- professionali agli specializzandi per abbattere le stesse. E anche la possibilità per le farmacie di svolgere analisi di primo livello. Ma tra le Regioni chiamate a discuterlo la critica è sempre la stessa: «Un decreto senza soldi non ha senso e molte di quelle misure già le adottiamo».

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