Roma, 50enne filippino accoltellato a morte a Valle Aurelia. L’assassino condannato a 21 anni
Il 19 febbraio 2023, in una strada vicina alla stazione metro di Valle Aurelia (a Roma), viene ritrovato un corpo riverso sull’asfalto, in una pozza di sangue. E’ quello di Michael Lee Pon, cittadino filippino di 50 anni: ucciso da diverse coltellate. Un fendente, fatale, lo aveva colpito al collo. Il giallo attorno alla sua morte non è durato a lungo: dopo poche ore, un 43enne aveva annunciato la sua colpevolezza in due video divenuti virali all’interno della comunità filippina, per poi costituirsi ai carabinieri. Si tratta di Renato Peralta, aiuto cuoco connazionale di Lee Pon, che oggi – 4 giugno – è stato condannato dalla Corte d’Assise di Roma a 21 anni e 1 mese di reclusione. Per lui, la pm Silvia Sereni aveva chiesto 22 anni.
La requisitoria
Un omicidio, quello di Lee Pon, aggravato da alcuni elementi, ha detto il pm con una tesi ora accolta dal giudice: la prima aggravante è quella della crudeltà, provata non solo dalla particolare efferatezza che avrebbe caratterizzato l’aggressione. Ma anche dal fatto che la vittima, dopo essere stata colpita al collo, veniva «lasciata sul posto mentre vomitava sangue, in un’agonia terribile». La seconda aggravante contestata è quella dei futili motivi: «L’aggressione avviene nei confronti di un uomo solo, disarmato, ritenuto responsabile di una presunta provocazione che non c’è. La questione ruota attorno a poche decine di euro», ha affermato la pm nel corso della sua requisitoria.
La ricostruzione dell’accusa
La morte Lee Pon sarebbe infatti la drammatica conseguenza di un’escalation di tensione provocata da questioni di droga. La vittima e il suo killer, infatti, sarebbero stati consumatori di una potente anfetamina consumata tipicamente nel sud-est asiatico, lo shaboo. Silvia Ronchetti, legale di parte civile, ha affermato in aula che Lee Pon avrebbe iniziato a frequentare la casa di Peralta proprio per fumare insieme. A un certo punto, però, la sua presenza risulta sgradita. A quel punto, il 50enne avrebbe iniziato a pretendere da Peralta una somma «a titolo di rimborso» per l’ultima volta che avevano assunto insieme la droga sintetica.
La tesi difensiva
Quel che è certo è che i rapporti tra i due degenerano. E si arriva all’incontro del 19 febbraio, l’ultima notte in vita di Lee Pon. Secondo la Procura, «non ci sono dubbi che l’uomo si fosse presentato sul posto senza alcuna intenzione di arrivare allo scontro». La difesa di Peralta, che ha già annunciato l’appello, ha però obiettato che «era Lee Pon che cercava il Peralta, non il contrario». E ha invocato la legittima difesa, sostenendo che il 43enne «non aveva alcuna intenzione di uccidere una persona. È stato costretto da una necessità, e la sequenza dei fatti lo dimostra. Aveva un figlio piccolo, come poteva decidere di rovinargli la vita?». Il figlio in questione, 16enne all’epoca dei fatti, era presente sul posto al momento dell’aggressione. A lui la procura dei minorenni ha contestato il reato di concorso in omicidio.