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Ultra, il racconto del potere: i Verdi, il marchio del Green deal e il «coraggio» in Ucraina

05 Giugno 2024 - 14:36 Sara Menafra
I sondaggi li danno in calo, scontano il marchio delle politiche ambientali (frutto di mediazione anche con altri partiti) e la nuova ostilità del Ppe. Ora il rilancio passa anche dalle scelte in politica estera

Nel 2019 il gruppo Verde (Greens/Efa) era all’apice del successo, non solo in termini elettorali ma soprattutto in termini di capacità di imporre la propria agenda. Oggi, appena cinque anni dopo, le tematiche ambientali che la «maggioranza Ursula» aveva fatto sue fino a prima della pandemia sono difese, ma con fatica, dai colleghi socialisti e quasi rigettate dal Ppe. E i Verdi appaiono sempre più isolati. Ma agli alti e bassi sono abituati, verrebbe da dire, anche solo passando a come nasce e come si «istituzionalizza» il movimento ambientalista. Il partito Verde europeo ha una storia più recente e breve di quella del gruppo Verdi/Alleanza Libera Europea che pure non è antichissimo. I primi parlamentari europei ad aderire all’allora gruppo Arcobaleno, furono eletti nel 1984 e venivano da partiti che si erano distinti in battaglie ambientaliste e pacifiste, soprattutto contro l’escalation nucleare, in Germania, Olanda e Belgio. Si trasforma in Gruppo Verde nel 1999, anno in cui accoglie al suo interno anche alcuni partiti regionalisti e indipendentisti (cosa diversa dai sovranisti che cominciano a farsi sentire in Europa soprattutto a partire dal 2004). L’obiettivo principale del gruppo è promuovere politiche ecologiste, sostenibili e progressiste, oltre a sostenere i diritti delle minoranze e delle regioni. Nel 2004, poi, nasce il Partito verde europeo, a cui aderiscono 32 partiti nazionali ma con una organizzazione che lo caratterizza per essere un vero e proprio partito transnazionale. Al momento, nel parlamento di Strasburgo siedono 71 eurodeputati verdi (inclusi i “Pirati” e i regionalisti).

Quanto pesano e dove governano i Verdi

Nel corso degli anni, il Gruppo Verdi/Ale ha contribuito in modo sostanziale alla definizione delle politiche europee su ambiente e diritti civili (battaglie eredità anche della componente femminista, inizialmente molto forte specie nei verdi olandesi). Se nell’ultima legislatura si deve anche ai Verdi il Green Deal, in passato il gruppo ha promosso l’adozione dell’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici e politiche per la parità di genere, i diritti LGBTQ+, la protezione delle minoranze e l’inclusione sociale. L’Europarlamentare olandese, Kim von Sparrentak, è co-presidente: «Un gruppo di oltre 160 membri del  Parlamento europeo che vogliono promuovere i diritti LGBTI ma anche  intervenire quando le cose vanno male. Quando in Italia abbiamo sentito le mamme erano state tolte dai certificati di nascita, abbiamo preso posizione», dice a Open. Von Sparrentak è anche relatrice di una relazione sulla regolamentazione di internet discussa nel corso della legislatura.

Al momento i verdi non esprimono un presidente del consiglio o capo di governo all’interno dell’Unione, ma fanno parte di diversi governi: in Austria (The Greens), Belgio (Groen e Ecolo), Bulgaria (Green Movement), Germania (Alliance 90/The Greens), Irlanda (Green Party), Lettonia (The Progressives), Montenegro (United Reform Action), Polonia (Zieloni/Civic Coalition) Spagna (Catalunya en Comú / Sumar).

Nella commissione Europea, esprimono il commissario Virginijus Sinkevičius lituano, attualmente delegato ad Ambiente e Oceani e all’attuazione del Green Deal.

Il Green Deal, delizia e croce

Le proteste degli agricoltori belgi davanti al Parlamento Europeo a Bruxelles, 4 giugno 2024 EPA/OLIVIER HOSLET

Il Green deal per i Verdi è stato certamente un grande obiettivo raggiunto, ma, proprio perché è un testo di mediazione in particolare con il Ppe, porta con se il rischio che proprio il gruppo verde sia ritenuto l’unico responsabile di alcuni problemi di equità nella ripartizione dei costi sociali della transizione verde: “Molte persone – aggiunge von Sparrentak a Open – pensano  che i Verdi sostengano il Green deal così com’è, al 100%.  Se fosse dipeso dai Verdi, avremmo reso il Green deal più  sociale, avremmo fatto in modo che ci fossero più finanziamenti  per i cittadini, avremmo reso più facile per i cittadini  isolare le loro case, ci sarebbero stati più  programmi governativi per finanziarlo.  Ma, dovendo mediare, non siamo riusciti a garantire tutte le cose che  volevamo per rendere il Green deal più equo».

Le conseguenze in termini elettorali sono evidenti. Alle prossime elezioni europee, i Verdi – che nelle elezioni del 2019 sono diventati il quarto gruppo più numeroso del Parlamento – paiono destinati a perdere circa un terzo dei loro 72 seggi, dicono varie rilevazioni, incluse quelle di Politico ed Europe elects. Non solo. C’è un problema che riguarda anche la futura Commissione: Virginijus Sinkevičius – l’unico commissario nominato dal partito verde – non è destinato a ricevere un secondo mandato e il suo “capo” Frans Timmermans, socialista e responsabile del Green Deal, ha scelto da tempo di dedicarsi esclusivamente alla politica olandese. E, tornando ai numeri, i colloqui per convincere il Movimento 5 Stelle italiano ad aderire al gruppo, sembrano essersi bloccati (Giuseppe Conte ha detto più volte che il Movimento sarà in un gruppo “progressista” ma le divisioni con i Verdi in tema di guerra sono molto nette).

Le divisioni con il Ppe

Ursula von der Leyen e il presidente del Ppe Manfred Weber, 2 giugno 2024. EPA/VASSIL DONEV

Il problema principale dei Verdi, che pur non facendo parte della maggioranza si erano accordati, anche grazie all’interesse di Pse-Sd, su molti punto con il Ppe è che quest’ultimo sta mostrando una crescente vicinanza alla destra, specie in Germania: Manfred Weber, leader del Ppe, ha guidato una campagna aggressiva contro diverse nuove leggi del Green Deal, collaborando con europarlamentari di orientamento molto più conservatore.

Un cambiamento di posizione che influenza le scelte degli stessi Verdi. Al congresso di Lione, il partito era in dubbio se inserire nel proprio manifesto un passaggio in cui si chiede che l’UE raggiunga la neutralità climatica entro il 2040, un decennio prima rispetto agli obiettivi attuali. I Verdi tedeschi avevano spinto per posticipare l’obiettivo al 2045, aveva raccontato Politico. E anche se è passata la linea più dura, la preoccupazione si percepisce. Poco tempo fa, nel 2022, i i Verdi finlandesi hanno votato per definire “sostenibile” l’energia nucleare e alcuni paesi del nord rimangono morbidi sul punto.

Pace o guerra

Il lancio della campagna elettorale dei verdi tedeschi. Nell’ordine Terry Reintke, Sergey Lagodinsky, la copresidente del partito Ricarda Lang, il ministro per Economia e clima Robert Habeck e il ministro degli Esteri Annalena Baerbock, 13 May 2024. EPA/FILIP SINGER

La vera novità, almeno se teniamo conto di come i verdi sono nati e si sono fatti conoscere nei paesi occidentali, è la linea scelta in tema di guerra, e in particolare di guerra in Ucraina. Una posizione, quella del sostegno “al 100%” all’Ucraina, politico culturale, certo, ma che c’entra anche con i sondaggi. Rispetto alle rilevazioni di aprile, oggi i verdi sono dati in risalita e ne partito c’è chi fa notare che anche nel 2019 il gruppo era sottostimato: i sondaggi li davano tra il 50 e il 60 e chiusero a 74. E nella nuova campagna c’entra il voto giovanile (da sempre importante per i verdi) ma c’entra anche un maggiore investimento sui paesi del fronte Est dell’Unione, dove attualmente i Verdi raccolgono meno di un quinto dei loro parlamentari europei, mentre – ad esempio – il 60% degli eletti del Ppe viene da questa area. Non è detto che la crescita in queste aree avvenga subito, i sondaggi dicono che dagli 11 partiti verdi che hanno aderito al partito transnazionale negli ultimi 5 anni, arriveranno solo 5 seggi in più. Ma il tema c’è. Come la “capolista” Terry Reintke – capolista anche in Germania – ha spiegato a Euractiv, la campagna dei Verdi nei paesi del fronte Est riguarda soprattutto «la guerra alla corruzione, la difesa della democrazia e l’opposizione all’aggressione russa». Sergey Lagodinsky, candidato di punta assieme a Reintke per la Germania, è cresciuto in Brandeburgo, Ex Germania Est, da rifugiato espulso dall’Unione Sovietica è tra gli artefici principali della campagna: «Il nostro orientamento geopolitico e la nostra politica estera basata sui valori funzionano sicuramente in Europa orientale» ha dichiarato sempre ad Euractiv a margine di un evento a Potsdam, Brandeburgo.

Kim Von Sparrentak con Open è molto netta sul punto, anche quando si paventano rischi nucleari. «Se l’Ucraina perde, è come se la democrazia perdesse. Il nostro sostegno significa assicurarsi che abbiano tutte le armi necessarie». Ma l’elemento più netto, al di là delle dichiarazioni dei singoli, è probabilmente la scelta fatta al congresso di Lione di inserire un punto del manifesto elettorale, che tra l’altro si intitola «Scegli il coraggio» dedicato alla Nato: «Per l’UE, un approccio multilaterale comprende anche il rafforzamento e l’approfondimento della cooperazione con la Nato, nel rispetto di una chiara divisione delle competenze e senza stabilire precedenze». Un punto che potrebbe causare qualche problema ad alcuni partiti verdi, a cominciare da quello italiano che, pur presentando una lista unica con Sinistra italiana, ha già annunciato che i suoi eletti andranno nel gruppo Verde (la Sinistra invece manderà i suoi con Gue/The Left).

Questa è la 6° puntata della rubrica Ultra. Ultra è parte di EUtopia, un progetto di Open in collaborazione con la rappresentanza in Italia della Commissione europea e del Parlamento europeo.

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