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Come si comprano i voti alle elezioni europee: il mercato delle preferenze da Napoli al resto d’Italia

voto di scambio napoli come comprare voti alle europee
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Un viaggio tra testimonianze anonime, carte giudiziarie e racconti con nomi e cognomi. In quella terra di mezzo tra clientelismo e scambio elettorale politico-mafioso dove prosperano capipopolo, millantatori e mafiosi

Voti in vendita. Oppure “solo” consenso. Con numeri però talmente impressionanti da far pensare a un sistema almeno in parte clientelare. In funzione da sempre, dice chi ci è rimasto invischiato. Quindi anche alle elezioni europee. Proprio quelle per cui si aprono le urne l’8 e il 9 giugno. E proprio mentre una serie di inchieste in tutta Italia contesta agli indagati il voto di scambio elettorale politico-mafioso. Ma come funzionano i meccanismi che si trovano proprio al limite tra la “politica sul territorio” e le ipotesi di reato? Proviamo a raccontarlo in questo viaggio virtuale tra testimonianze anonime, carte giudiziarie e racconti con nomi e cognomi. In quella terra di mezzo tra legalità e illegalità in cui si muovono capipopolo, millantatori e mafiosi. Prendiamo come esempio una serie di testimonianze che arrivano da una sola città: Napoli. Come vedremo, si tratta però soltanto della punta di un iceberg.

Come funziona(va?) a Napoli

«Ci sono ancora dei vecchi dirigenti politici di solito di estrazione democristiana e socialista soprattutto nel Centro-sud e Nelle isole con un bacino elettorale clientelare o anche di semplice appartenenza che hanno ancora mantenuto, con i relativi contatti, i circoli attivi eccetera. Queste persone tradizionalmente attendono le campagne elettorali per sostenere questo o quel candidato allo scopo di chiedere dei contributi. Questa è una cosa reale ed esistente». A parlare con Open di come funziona il voto di scambio a Napoli è proprio un ex candidato alle elezioni europee. Ma la sua discesa in campo risale a vent’anni fa e all’epoca pur raccogliendo un numero ragguardevole di preferenze non è stato eletto. Oggi prova a raccontare un meccanismo di cui all’epoca ha usufruito e che in parte è ancora in funzione, mentre altre realtà hanno raccolto l’eredità delle sezioni territoriali di Dc e Psi.

I capipopolo

«Poi c’è la leggenda di chi ti garantisce un voto per cinquanta euro. La chiamo leggenda perché all’epoca io le cercai e non trovai nessuno che fosse davvero affidabile, se non nei piccoli centri dove c’è ancora qualcuno chi è in grado di dirti “Io ho dieci votanti in questo seggio, posso vendere i relativi voti” e questo diventa anche effettivamente riscontrabile quando escono i risultati», aggiunge. Anche se le inchieste di questi mesi ci hanno invece confermato che strutture come queste invece esistono e sono perfettamente funzionanti, al netto del prezzo diverso di ciascun voto.

L’ex candidato, che all’epoca militava in un partito di primaria importanza, non vuole dire precisamente come ci è entrato in contatto, anche se ricorda che all’epoca aveva molte conoscenze tra ex compagni dei partiti in cui aveva militato e altri che nel frattempo si erano riciclati nelle nuove realtà politiche: «E poi c’erano assessori e consiglieri comunali che mantenevano un legame con il territorio. Magari perché facevano i medici di base in zona ed erano anche i capipopolo. Ma se pensi che avessero legami con la criminalità organizzata, ti devo deludere: io non ne ho mai avuto il minimo sentore».

Attenti alle truffe della camorra

A proposito della camorra invece l’ex candidato ha altro da raccontare: «Si pigliavano i soldi e non ti davano un voto. Ma questo succedeva già non venti ma addirittura una trentina di anni fa. Promettevano, promettevano, tu pagavi e poi non mantenevano». Forse in altre zone, ragiona, il sistema funziona alla perfezione. O forse è stato sfortunato lui a trovare gli interlocutori sbagliati Ma la sua esperienza diretta con le agenzie criminali del territorio è stata alla fine deludente: «Però poi alla fine devi sempre considerare che nella cabina elettorale l’elettore entra da solo. Non è che hanno un suggeritore che gli sussurra all’orecchio. Il metodo per avere la prova dei voti comprati lo conosciamo tutti: basta andare a vedere i verbali dei seggi e controllare quelli “segnati”. Ma è una cosa troppo impegnativa per taluni mafiosi. È più da specialisti», sostiene con un filo di ironia.

Lo schema

Anche oggi, dice, questo sistema funziona anche se «è difficilissimo adesso controllare l’aspetto elettorale. Tu devi dire: io ho 100 iscritti a Frosinone che votano in questa sezione, vai a controllare alla fine dello spogli quanti voti sono usciti: alla fine conti il numero di voti e li comunichi al candidato». In particolare, dalla sua come da altre descrizioni, emerge uno schema a raggiera sul funzionamento del meccanismo: un collettore riunisce tanti piccoli portatori di voti e poi somma quello che possono portare. Poi si presenta dall’acquirente (un politico, o chi ne fa le veci) per mostrare la sua mercanzia e raggiungere un accordo sul pagamento.

Politica clientelare o legame con il territorio?

L’ex candidato non si scompone quando gli si fa notare che è proprio così che si costruisce quel legame che rende clientelare la politica, anzi lo vede in un modo positivo: «Beh, se ci pensi bene è un fatto positivo: è un modo per legare la politica al territorio. Anche perché non sempre parliamo di voti venduti e comprati per un corrispettivo economico, ma anche in cambio di posti di lavoro. E per realizzarli ci vogliono le imprese e la prosperità».

I pagamenti esistono, non li nega neppure lui, ma li chiama in un altro modo: «Quello che ha il circolo o l’associazione può dirti: “Io ho 500 iscritti e riesco a portare 3000 voti: me li dai duemila euro di contributo?”. Così si spendono i soldi in campagna elettorale. Poi c’è chi li spende in feste, cene e manifesti: per me è un coglione perché spende di più e non c’è nessuna garanzia che li votino ugualmente».

I trafficanti di voti

Ma se dal lato dell’offerta la situazione è questa, dalla parte della domanda il ragionamento è molto diverso. A parlare con Open stavolta c’è una persona che ne sa molto, anche se all’inizio ha poca voglia di raccontare. Alla domanda su come ha iniziato il commercio di voti risponde in maniera piuttosto abbottonata: «In realtà non si comincia. Ci si trova in mezzo ed è sempre colpa di qualcun altro. E comunque non so niente, riferisco quello che mi raccontano». Ma quello che gli raccontano è piuttosto specifico. Soprattutto sul modo in cui si costruisce il bacino di voti che poi si mette in vendita: «Come si costruiscono le amicizie. Qualche volta aiuti qualcuno che sta in difficoltà, altre volte gliele crei le difficoltà, per poi risolvergliele. Rapporti umani, c’è a chi piace il proprio prossimo».

Domanda e offerta

La fonte spiega che in cambio del voto non si danno soltanto i classici 50 o 100 euro, ma soprattutto «suggestioni. Sogni di grandezza o meglio di vendetta. C’è gente che campa solo per vedere rovinati gli altri e il potere che può dare la politica o le divise lo vogliono usare non per vincere loro che è una cosa impegnativa. Per far perdere gli altri. Così rimangono tutti per terra ed è sempre colpa di qualcun altro. I soldi no, quelli sono negli affari a vincere. Questi sono affari a perdere».

La mediazione si tende a costruire nello stesso modo in cui si contratta tra grossisti e produttori al mercato: «Comprano i nuovi arrivati delle liste perché vogliono arrivare con la scorciatoia. E non sanno che chi offre è una sòla. Chi offre? Tutti quelli che hanno avuto numeri le volte scorse perché hanno un valore di mercato riconosciuto. Tanto è come coi numeri del Lotto, quello che vendeva i numeri delle stelle a Eduardo De Filippo aveva sempre un sacco di nuvole in cielo come scusa».

La verifica

E ora la domanda delle domande: come fa l’acquirente di voti a verificare di non aver speso i suoi soldi inutilmente? Le inchieste di questi mesi ci hanno spiegato che uno dei metodi è quello di scrivere la preferenza in un modo inconfondibile. Se il candidato da votare è Mario Rossi, si mette “M. Rossi”. Questo metodo però presuppone che poi ci sia qualcuno all’interno del seggio che possa contarli e riferirli a chi di dovere. Secondo il nostro testimone si tratta di «sistemi caserecci, più o meno si verificano i risultati dei singoli seggi confrontandoli con le aspettative in quel seggio. Stronzate, perché è fatto con ignoranza e un grado di approssimazione all’infinito. L’unico criterio è se vinci oppure no. Se perde il tuo avversario ti scordi di tutto e ti va bene comunque».

Millantatori, truffatori e parco buoi

Anche la nostra fonte conferma che l’universo dei venditori di voti è fatto anche di millantatori che promettono e non mantengono fregando gli acquirenti: «È la regola perché come ha detto Calenda nessuno ha i voti. Hanno le facce e le lingue, questo sì». Ha anche sentito dire di gente capace di vendere gli stessi voti a più persone, incassare e sparire: «C’è chi lo fa, tanto poi tra una elezione e l’altra passa tempo e si ricrea il parco buoi». Sa anche di gente finita picchiata o finita in agguati per ragioni di “mercato”: «Non le prendi mai dai clienti, ma dai concorrenti. A volte senza reali motivi, solo per pisciare il territorio che tra l’altro manco esiste».

Affari a vincere

Poi ci racconta un episodio a cui ha assistito: «Spesso i presidenti nelle fasi di apertura e costituzione del seggio delegano ai ragazzi e vanno a mangiare e riposarsi. Durante la conta iniziale delle schede capita spesso che i numeri si segnino a matita per compensare schede mancanti, votate due volte da un anziano che manco se ne accorge. In quel momento lì in cui nessuno capisce nulla e ci si congratula a vicenda per i soldi facili come scrutatori chi ci capisce fa una bella scorta di voti veri per chi fa gli affari a vincere».

La storia però non finisce qui. Lontano dai microfoni c’è chi narra la storia di un piccolo clan che si muove soprattutto nel territorio a nord di Napoli. Si dedicano all’usura e al riciclaggio, ma anche alla compravendita di preferenze. I voti se li comprano «con i portavoti ma questi sono controllabili sul serio». Perché si tratta di elettori che vanno appositamente a votare perché appartenente ai clan, oppure di persone ricattabili perché sotto usura. A volte vengono anche convinti con le intimidazioni del caso. Acquistano al dettaglio e poi rivendono all’ingrosso, è il ragionamento. Si tratta di storie «anche giudiziarie»: alcune sono finite con delle assoluzioni.

Casavatore

Casavatore è un comune dell’area metropolitana di Napoli che negli anni ha visto crescere la presenza della camorra. Quando gli chiediamo di parlarci di voto di scambio e clientelare, il segretario del Pd cittadino Gianluca Annunziata, 35 anni, non si tira indietro: «Inutile provare a nascondere la realtà. Sono fenomeni che in certe zone esistono e possono essere presenti in maniera più o meno marcata. Questo vale dappertutto, così come esistono tante altre zone dove invece la politica (quella vera) c’è eccome e fa anche bene il suo dovere. Sono dinamiche che si creano come conseguenza di un degrado economico, sociale ma soprattutto culturale».

Annunziata non si nasconde che il problema è endemico: «Molte persone per combattere il fenomeno direbbero: tutti a casa, basta con i vecchi partiti. E iniziano così da sempre a spuntare i movimenti, le liste civiche o personalistiche che si propongono come nuovo o qualcosa di “diverso”. Ci sono casi dove questa soluzione funziona, ma bisogna tener presente che qualsiasi organizzazione politica è fatta da uomini, e in quanto tali possono farsi “risucchiare” in questo vortice negativo».

Le soluzioni

La selezione della classe politica, spiega Annunziata, è fondamentale. Ma tutto parte dal coinvolgimento, che non esiste senza credibilità: «Se non c’è credibilità qualsiasi tua parola non ha alcun valore. Di conseguenza le persone con certi principi non ti seguiranno mai e quindi non si riuscirà mai a combattere questo fenomeno». Una delle soluzioni per combattere il fenomeno è l’abolizione delle preferenze. Ma anche lui su questo è contrario: «Quello con le preferenze però è il metodo che favorisce secondo me un maggior coinvolgimento del singolo cittadino. Ed è per questo che sono favorevole ad utilizzarle, altrimenti la diamo vinta a chi distorce il voto. Il problema delle frodi non si risolve riducendo la possibilità di scelta, ma si risolve solo con la politica».

Il voto delle mafie non esiste solo al Sud

Ma il voto di scambio non esiste soltanto a Napoli o al Sud, anzi. Il saggista Enzo Ciconte, docente di Storia della criminalità organizzata all’Università di Roma Tre ed esperto dei meccanismi di penetrazione delle mafie nel Nord Italia, ha detto al Fatto Quotidiano che ormai «la ‘ndrangheta vota più al Nord che in Calabria». Quello europeo, spiega Ciconte, «è un voto particolare: c’è la preferenza e quindi è chiaro che il candidato va a cercare proprio “l’amico”. Non è un voto che incide immediatamente sul territorio. Sono voti di promessa». Nel senso che «la mafia da sola non elegge nessuno. Per le Europee funziona esattamente come alle Regionali: si vota il personaggio che si ritiene possa essere eletto. Con una particolarità: se guardi i voti effettivi e quelli validi, le mafie votano più al Nord che al Sud, più in Lombardia e Piemonte che in Calabria».

La punta dell’iceberg

Oggi a Napoli c’è chi dice di conoscere già il primo, il secondo, il terzo e il quarto classificato nella corsa alle preferenze di questo o di quel partito. C’è chi giura che questo o quel candidato riceverà tante, tantissime preferenze. Soprattutto in certe zone. Ma le inchieste di questi mesi immediatamente precedenti al voto delle europee ci hanno insegnato che non si tratta di un fenomeno napoletano o del Sud. Nell’indagine per corruzione nei confronti del presidente della Regione Liguria Giovanni Toti è spuntata la storia di un pacchetto di voti destinato al governatore e proveniente da persone originarie di Riesi in provincia di Caltanissetta. A promettere i voti erano i fratelli Italo Maurizio e Arturo Angelo Testa. Che sono esponenti di Forza Italia in Lombardia, tanto da essere considerati vicini al coordinatore regionale Alessandro Sorte. In cambio dei voti, secondo l’accordo, sarebbero dovuti arrivare posti di lavoro.

Una storia, tante storie

Nelle carte dell’inchiesta c’è anche il racconto di una cena elettorale con i riesini e della frase che il capo di gabinetto di Toti Mauro Cozzani dice alla candidata Ilaria Cavo per convincerla a partecipare anche se lei aveva paura che il pasto si sarebbe risolto in una serie di richieste da soddisfare: «È come la mortadella: poca spesa tanta resa. Dieci giorni dopo ci sono le elezioni, te una volta che hai fatto quello blocchi il numero, grazie e arrivederci».

In questo caso i due fratelli Testa gestiscono un’associazione che si chiama “Riesini nel mondo” e attraverso quella convogliano i voti nei territorio. E cioè usano un archivio per inviare inviti che poi si trasformano in voti. Un meccanismo molto simile a quello che si raccontava a proposito di Luca Sammartino (Lega, ex Iv, Pd e Udc), recordman di preferenze e poi vicepresidente dell’Assemblea Regionale Siciliana, salvo poi finire sospeso dalle sue funzioni nell’inchiesta per corruzione elettorale a Catania.

Archivi e database

Su Youtube infatti è disponibile un video in cui una persona che sostiene di chiamare dallo studio dentistico del padre di Sammartino chiede di votare per il figlio all’epoca candidato proprio alle regionali. Anche qui torna protagonista un database. Mentre un riferimento ai vecchi potentati dei partiti della Prima Repubblica c’è nell’inchiesta per corruzione elettorale che a Torino coinvolge l’ex Psi Salvatore Gallo. Il quale, da Ras locale del Partito Democratico, secondo l’accusa «favoriva amici e sostenitori privati nell’ottenere alcune concessioni e autorizzazioni della pubblica amministrazione in cambio di sostegno elettorale e voti». Tra le sue attività i cambi di destinazione d’uso degli immobili e i condoni edilizi. In totale gli eletti con il suo aiuto, tra comune e circoscrizione, arrivavano a otto.

I corsi regionali

Nell’inchiesta per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione elettorale che ha portato alle dimissioni l’assessora regionale ai trasporti in Puglia Anita Maurodinoia invece è tutto molto prosaico. Cinquanta euro a voto per migliaia di elettori e anche qui un database. Il marito Alessandro Cataldo aveva messo in piedi un sistema per controllare i voti destinati alla moglie attraverso «formule di voto da imporre agli elettori», secondo l’ordinanza. Servendosi di un database con i nomi delle persone da corrompere che aveva duemila utenze. Che venivano reclutate anche tra partecipanti, tutor e docenti dei corsi di formazione professionale da lui gestiti e finanziati dalla Regione.

La bombola del gas

Anche in questa inchiesta emerge un meccanismo di controllo dei voti attraverso le modalità di scrittura sulla scheda. «Quando si dice che il voto è segreto è bugia perché tu lo scopri dopo due secondi, attraverso il suo metodo e quello quando andava a vedere che c’era ti pagava altrimenti non ti pagava», dice ai magistrati il “pentito” Armando Defrancesco. «A te diceva metti la “X” sul sindaco, non metterla sul partito e scrivi Anita Maurodinoia. All’altro che veniva diceva: “Quanti siete in famiglia? Quattro? Ti do 200 euro ma nella tua sezione voglio trovare questi quattro voti come ti ho detto!” Avevamo 7-8 formule di voto».

Un’intercettazione aiuta a comprendere meglio: «La signora è venuta di nuovo e ha detto: ho tutti gli amici di mio figlio per votare, faccio venire mio figlio per il rappresentante di lista, però voglio la bombola del gas». Un altro ancora ricordava di avere «10 figli» per sottolineare la necessità del pagamento del voto: «E anche lei vuole la bombola che non ha il gas per cucinare».

Le schede elettorali

Nell’inchiesta i carabinieri hanno trovato anche migliaia di fotocopie di carte d’identità, tessere elettorali, codici fiscali di cittadini di Triggiano. Si trovavano in un bidone dell’indifferenziata. Defrancesco ha spiegato ai magistrati a cosa servivano: Allora lui usava me perché tra i giovani avevo molte amicizie. Noi pagavamo 50 euro a voto, come faceva lui a vedere e a sapere se tu avessi votato o meno, lui nel frattempo la prima fase consisteva in questo: reclutare le schede elettorali, carte d’identità fotocopie, e il numero di telefono. Questi numeri venivano messi in un database in un computer […]. L’ultimo giorno delle, era micidiale, l’ultimo giorno cioè il giorno prima delle votazioni, si votava la domenica, il sabato la gente diceva “ma noi quando ci chiamate?, quando ci…” perché non dicevamo “lasciate i vostri documenti poi chiamiamo”. Noi li contattavamo tutti, cioè quindi noi il venerdì dicevamo «vedi che tu domani devi venire a quest’ora, in questo momento, in questa sede. Che venivano a fare loro? loro venivano, noi davamo dei fac-simili di votazione».

Una volta qui era tutta campagna (elettorale)

In questo piccolo viaggio virtuale tra aspiranti acquirenti a volte gabbati, venditori molte volte di fumo e gente che invece sa il fatto suo gli unici che non hanno parlato sono quelli che il voto lo vendono al dettaglio. Per qualche soldo o per una bombola del gas. Oppure lo regalano per una cena o per riconoscenza nei confronti del professionista che gli ha sbloccato una pratica o curato un dente. Sembra esserci un denominatore comune dietro queste storie appena accennate dietro altre storie: la povertà e il bisogno.

Anche se secondo l’ex magistrato di Mani Pulite e ministro Antonio Di Pietro il problema non si dovrebbe nemmeno porre: «Secondo me anche il cittadino deve fare autocritica. La ricerca del voto è di per sé basata su un compromesso: vota me perché porto avanti questo progetto. Svendere il proprio voto per 50 euro o per un’utilità è un comportamento da censurare. Io invito l’elettore ad alzare la testa e a non scendere a patti così umilianti per sé stesso e per il contesto sociale in cui vive».

È la somma che fa il totale

Di certo c’è che per quanto le organizzazioni per il voto di scambio possano essere mastodontiche, per funzionare devono fare affidamento sul fatto di essere una percentuale importante del totale. Questo significa che chi cerca di manovrare un voto riesce a farlo soltanto ed esclusivamente se il numero di votanti non supera percentualmente una certa soglia (da definire in base alla partecipazione al voto). Altrimenti i voti comprati diventano irrilevanti rispetto a una partecipazione massiccia al voto. Si può indagare sul voto di scambio, si possono abolire le preferenze, si potrebbe invece trovare un sistema per rendere impossibile la conta dei voti comprati. Ma la prima arma per combattere il voto di scambio è andare a votare.

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