Elezioni Ue, dalla «green wave» del 2019 alla batosta del 2024: il calo dei Verdi mette a rischio il Green Deal?
Nell’elenco degli sconfitti delle elezioni europee il nome dei Verdi arriva subito dopo quello dei liberali di Renew. Nella scorsa legislatura, i partiti ecologisti dei 27 Paesi Ue potevano contare su una delegazione di 71 eurodeputati. Per i prossimi cinque anni, dovranno accontentarsi di appena 53. Le ragioni di questo calo vanno ricercate soprattutto nel Paese più popoloso dell’Unione europea – la Germania – dove i Grünen hanno perso consensi e l’estrema destra si è imposta come secondo partito. Ci sono però alcuni Stati che fanno eccezione, a partire dall’Italia, con Alleanza Verdi-Sinistra che si è rivelata la vera sorpresa delle elezioni europee. Alla tornata elettorale del 2019, i Verdi italiani si erano presentati da soli senza riuscire a superare nemmeno la soglia di sbarramento. La creatura politica a cui hanno dato vita Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli è riuscita invece a riscuotere il 6,7% dei consensi ed eleggere tre europarlamentari.
La «green wave» del 2019: un lontano ricordo
Il livello record di consensi ottenuto dai Verdi alle elezioni europee del 2019 fu anche un risultato della «green wave», l’ondata di proteste per l’ambiente e per il clima che fece scendere in strada milioni di giovani in tutto il mondo. In alcuni Paesi, questa mobilitazione portò a un exploit dei partiti ecologisti. In Francia, i Verdi conquistarono il 13% dei consensi e 12 eurodeputati. Il risultato fu ancora più clamoroso in Germania: i Grünen si imposero come il secondo partito più votato del Paese (con il 20,5%) e mandarono a Bruxelles e Strasburgo una maxi-delegazione di 25 europarlamentari. In Italia, di tutto questo non vi fu traccia. Eppure, negli ultimi cinque anni i Verdi hanno potuto comunque contare su tre soci italiani arrivati “in prestito” da altri partiti. Si tratta di Ignazio Corrao, Rosa D’Amato e Piernicola Pedicini, tutti eletti con il Movimento 5 stelle e passati poi al gruppo dei Verdi.
Il risultato dei Verdi, Paese per Paese
Il confronto tra il 2019 e il 2024 è impietoso. I Verdi hanno perso per strada 18 eurodeputati, di cui nove della delegazione tedesca e sette di quella francese. Nel caso della Germania, il risultato deludente ottenuto dai Verdi fa il paio con il calo dei consensi che ha travolto anche gli altri due partiti della coalizione di governo che sostiene Olaf Scholz: i socialisti della Spd (13,9%, il dato più basso di sempre alle europee) e i liberali di Fdp (5,2%). «Non c’è una spiegazione univoca al calo dei Verdi in Europa», spiega a Open Nils Redeker, vicedirettore del Centro Jacques Delors. Il crollo degli ecologisti in Germania, per esempio, «testimonia l’impatto significativo che le politiche domestiche hanno sui risultati nazionali delle elezioni europee». Ci sono alcuni Paesi, fa notare Redeker, che fanno registrare un’inversione di tendenza rispetto a quanto avvenuto in Francia e Germania. È il caso di Svezia e Danimarca, dove i Verdi hanno visto crescere i propri consensi e hanno eletto tre eurodeputati ciascuno. Nei Paesi Bassi, la coalizione rossoverde guidata da Frans Timmermans, ex commissario europeo e “padre politico” del Green Deal, si è imposta come primo partito a livello nazionale, eleggendo cinque eurodeputati nelle fila dei socialisti e quattro in quelle dei Verdi. Tra i Paesi Ue dove i Verdi sono andati meglio del previsto ci sono anche Lettonia (un eurodeputato eletto), Croazia (1), Slovenia (1) e Lituania (2).
Dalle piazze alle stanze dei bottoni
Negli ultimi cinque anni di Commissione europea a guida Ursula von der Leyen, i Verdi sono rimasti fuori dalla maggioranza ma hanno influenzato – e non poco – l’azione politica dell’esecutivo Ue. Su molti provvedimenti del Green Deal, il pacchetto di misure europee a favore dell’ambiente e del clima, gli eurodeputati ecologisti hanno giocato un ruolo di primo piano e hanno spesso votato insieme a Popolari, Socialisti e Liberali. Allo stesso tempo, il passaggio dalle manifestazioni di strada alla politica dei palazzi ha portato con sé un calo dei consensi, soprattutto dopo le proteste degli agricoltori che a inizio 2024 hanno scosso l’Europa puntando il dito proprio contro le politiche green approvate in questi anni.
Negli scorsi mesi, le elezioni europee sono spesso state descritte come un referendum sulle politiche ambientali e climatiche dell’Ue. I sondaggi, però, hanno rivelato che forse in fin dei conti le cose non stavano proprio così. «I risultati mostrano che la politica climatica non era una delle principali priorità per gli elettori. E non c’è da sorprendersi. Con l’attacco russo all’Ucraina, la crisi del costo della vita e una prospettiva economica fiacca, altre questioni hanno occupato il primo posto nella mente degli elettori», fa notare il vicepresidente del Centro Jacques Delors. Resta però il fatto che la performance dei partiti Verdi è stata tutt’altro che positiva, come ammesso dallo stesso Bas Eickhout, Spitzenkandidat dei Verdi europei. «Non siamo felici del numero dei seggi che abbiamo ottenuto», ha commentato l’eurodeputato olandese. Eppure, nonostante il risultato deludente, i Verdi sembrano non avere alcuna intenzione di essere tagliati fuori dai giochi nella prossima legislatura. «Ora dobbiamo creare una maggioranza stabile al centro del Parlamento europeo e, secondo noi, dovrà guardare anche ai Verdi. Siamo pronti a prenderci questa responsabilità», ha detto Eickhout, rivelando di aver già iniziato a dialogare con la presidente uscente von der Leyen.
Il destino (in bilico) del Green Deal
L’esito dei negoziati che prenderanno il via in questi giorni determinerà non solo la composizione della prossima maggioranza al Parlamento europeo ma anche il futuro del Green Deal. Socialisti e Liberali hanno rivendicato con orgoglio le politiche green degli ultimi cinque anni e si sono detti pronti a proseguire sulla strada tracciata. Negli ultimi mesi di campagna elettorale, invece, i Popolari hanno mostrato segni di insofferenza verso alcuni provvedimenti, lasciando intendere che la prossima legislatura potrebbe avere un approccio diverso alle politiche per il clima. Secondo Nils Redeker, è difficile però che ci sarà una vera e propria inversione di rotta. «Per assicurarsi la rielezione, Ursula von der Leyen avrà bisogno del sostegno dei socialdemocratici e possibilmente dei verdi. Ciò limita significativamente la sua capacità di revocare la legislazione esistente sul Green Deal», spiega il vicedirettore del Centro Jacques Delors.
È dello stesso avviso anche Linda Kalcher, direttrice del think tank pan-europeo Strategic Perspectives. «Se il Ppe – spiega l’esperta – vuole una coalizione comoda e affidabile per i prossimi cinque anni per rafforzare la competitività industriale e la sicurezza economica, i Verdi rimangono la scelta migliore. Potrebbe non avvenire nel nome dell’ambizione climatica, ma la direzione è chiara». Una revoca vera e propria del Green Deal, insomma, non è all’orizzonte, se non altro perché si tratta di un pacchetto legislativo appoggiato da tutti i principali gruppi politici europei, destre escluse. Ciò a cui si potrebbe assistere, semmai, è il tentativo di diluire alcune politiche durante la fase di implementazione. Magari a partire da alcuni dei dossier più contestati, come la direttiva sull’efficientamento energetici degli edifici o lo stop alle auto inquinanti dal 2035. Tutto è appeso alla direzione che il Ppe di Ursula von der Leyen sceglierà di imboccare. Con la differenza che, rispetto a cinque anni fa, i Verdi si presentano al tavolo dei negoziati con meno forza e meno possibilità di incidere sulle scelte finali.
In copertina: Robert Habeck, ministro dell’Economia tedesco, e Annalena Baerbock, ministra degli Esteri, durante un evento elettorale dei Verdi in Germania (EPA/Filip Singer)
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