Esplode in Francia e Germania, frena nella Penisola iberica: quanto è cresciuta (davvero) l’estrema destra in Europa e perché
L’estrema destra esce rafforzata da queste Europee. Ma la crescita non è stata così travolgente da rideterminare gli equilibri politici. O, almeno quelli del Parlamento europeo dove le due principali forze restano il Partito popolare europeo e i socialdemocratici, i cui seggi non sono cambiati di molto. Neppure il calo dei liberali, mette in discussione i numeri. E Ursula von der Leyen, la Spitzenkandidat del Ppe, potrebbe essere più vicina al suo bis alla Commissione Ue. Di certo, fanno rumore i risultati ottenuti dai partiti di ultradestra in Germania e Francia, dove Macron e Scholz sono i due grandi sconfitti di queste Europee. A Berlino l’Alternative für Deutschland, considerata da Le Pen «troppo radicale» anche per lei, ha scavalcato i socialdemocratici del cancelliere. E questo a poche ore dal risultato arrivato dall’Austria, dove gli estremisti del Fpo sono risultati per la prima volta in vantaggio su tutti. Mentre alla vittoria schiacciante del Rassemblement National francese ha reagito il capo dell’Eliseo sciogliendo l’Assemblea e convocando nuove elezioni per il 30 giugno.
E se in alcuni Paesi il vento dell’estrema destra soffia un po’ più forte, in altri sembra essersi affievolito rispetto al passato. In Ungheria, Viktor Orbán ha vinto ma è sceso sotto la soglia del 50 per cento. E in Polonia, l’europeista Tusk è riuscito ancora una volta e spodestare i sovranisti di Diritto e Giustizia (PiS). In Spagna Vox non ha sfondato come pensava, complice l’esperienza poco rivelante in alcune comunità autonome; in Portogallo Chega è scesa dal 18 per cento delle legislative di marzo al 9. «I partiti di ultradestra hanno primeggiato in alcuni contesti, si sono confermati in altri e in altri ancora hanno subito battute d’arresto. L’avanzata tuttavia non è un fenomeno nuovo e, quantomeno a livello europeo, è in corso dagli anni 90», dice a Open Andrea Pirro, ricercatore in Scienza Politica presso l’Università di Bologna. È direttore della rivista scientifica East Europea Politics e direttore della Routledge Book Series in Extremism & Democracy. «Le regioni del successo dell’estrema destra variano da Paese a Paese e dal contesto in cui si trovano», dice Marta Lorimer della London School of Economics e autrice del saggio Europe as Ideological Resource.
Il processo di normalizzazione dell’estrema destra
A giocare un ruolo c’è, come nel caso francese e tedesco, l’insoddisfazione diffusa nei confronti dei governi in carica o verso l’adozione di politiche sui grandi temi nazionali. L’opinione pubblica dei Paesi dell’Unione ha palesato il proprio malcontento sia attraverso l’astensionismo, in Italia il vero vincitore, sia mediante un voto a destra o a estrema destro dello spettro politico. Ma la spinta in avanti dell’ultradestra è anche «il frutto di un processo di normalizzazione che passa per l’emulazione delle politiche illiberali» dei partiti ultraconservatori da parte di quelli più moderati, spiega Pirro. «Il caso austriaco, francese e nederlandese – continua l’esperto – dimostrano che quando i partiti mainstream dell’area “liberale” recepiscono le proposte dell’ultradestra, l’elettorato tende a preferire l’originale alla copia». La legge sull’immigrazione di Macron ne è un esempio. Ciò che caratterizza questa avanzata reazionaria, la «quarta» per il politologo olandese Cas Mudde, è proprio l’istituzionalizzazione di certe realtà politiche che in passato non influenzavano in modo così nitido il dibattito. Complici anche i social network. Ma l’idea di Europa portata avanti dai partiti di estrema destra non sembra essere cambiata nel corso del tempo, è stata “soltanto” normalizzata: «Ci troviamo in una situazione in cui l’estrema destra è passata da circa il 20 per cento al 25 e, soprattutto, stiamo vedendo una normalizzazione delle loro idee da parte di altri partiti. In un certo senso, quindi, dal punto di vista dei concetti una vittoria di qualche tipo c’è stata», afferma Lorimer.
Ragazzo di (estrema) destra
Se guardiamo al passato, il voto di estrema destra «era maggiormente definito: si trattava di un elettorato prevalentemente maschile e di estrazione sociale medio-bassa. Oggigiorno si tratta di un elettorato maggiormente diversificato», spiega il professore. «In alcuni Paesi, l’estrema destra ha grande successo fra i giovani – non è il caso dell’Italia», dove gli under 30 guardano a sinistra. Non si può dire lo stesso per Germania e Francia, dove invece le giovani menti sono vicine alla destra estrema. «Questi partiti – afferma Pirro – sono molto attivi sui social media e una buona parte di queste formazioni ha investito nello svecchiamento del proprio profilo: il Rassemblement National ha candidato come capolista Jordan Bardella, 28enne delfino di Marine Le Pen, continuando il processo di “dediabolizzazione” avviato qualche anno fa. L’AfD in Germania ha beneficiato di campagne mirate su TikTok e Instagram. Il caso italiano dimostra invece che l’elettorato più giovane è ancora sensibile a tematiche come ambiente, sostenibilità e diritti civili». Ciò che si sta riducendo tra i votanti delle forze politiche estremiste «è anche il gender gap: cominciamo a esserci più donne che danno la loro preferenza per l’ultradestra. Ma ciò che in linea di massima li raggruppa è un’opposizione verso l’immigrazione», sottolinea Lorimer. «Nella sua diversità – continua Pirro -, possiamo dire che questo elettorato non è in una condizione oggettivamente precaria, ma si sente minacciato dal cambiamento socioeconomico e culturale in corso». Quella ultra conservatrice «è una visione di “Europa dei popoli e degli stati nazione” che valuta negativamente ogni passo in avanti nel processo di integrazione europea – e quindi di delega di poteri a livello sovranazionale. Dopo la Brexit, la fuoriuscita dall’Ue o dall’euro hanno perso appeal; questi partiti cercano ora di ostacolare i lavori dell’Ue dall’interno», dice l’esperto.
I partiti di ultradestra sono sempre stati «euroscettici»?
Oggi le posizioni dell’Europa sull’estrema destra sono «euroscettiche». Ma, secondo Lorimer, sono cambiate nel corso del tempo. «Il fronte nazionale francese, ad esempio, originariamente non era euroscettico e neppure il Movimento Sociale Italiano (Msi), poi Alleanza Nazionale – spiega -. Quest’ultimo non partiva su posizioni anti-europee, anzi, vedevano l’Ue come una forma di resistenza contro il comunismo. La situazione comincia a cambiare intorno agli anni ’80 e primi anni ’90 soprattutto, quando l’Unione inizia a cambiare forma. E, infine, molti di questi partiti sono pro Europa, ma contro l’Ue». Anzi, l’estrema destra ha persino utilizzato «le tematiche europee» a suo vantaggio, per presentarsi come «attori più responsabili», afferma. «Una volta che è cominciato il processo di integrazione europea – continua la ricercatrice – hanno iniziato a parlare anche loro di tematiche europee e lo hanno fatto in un modo che ha permesso loro di avvicinarsi agli elettori tradizionali e a quelli nuovi, che forse non avrebbero originariamente votato per questi partiti, ma che invece ora cominciano a considerali come una parte legittima dello spettro politico».
Il peso dei governi di destra e ultradestra al Consiglio europeo
A Bruxelles, l’estrema destra è la “famiglia” politica più divisa: AfD è stato espulso da Identità e democrazia, di cui fa parte Le Pen, e molti altri partiti di ultradestra non appartengono ad alcun gruppo (come Fidesz di Orbán, che vorrebbe entrare in Ecr di Meloni). Secondo il politologo Mudde il nuovo centro del potere non sarà tanto l’estrema destra – che si tratti di Ecr o Id – ma «l’estrema destra del Ppe» che «spingerà più a destra i partner della coalizione su temi come l’ambiente, i diritti e l’immigrazione». Vi è, inoltre, la possibilità che le destre e l’estrema destra in Ue possano giocare un ruolo chiave nel modificare i rapporti di forza all’interno del Consiglio europeo (composto dai capi di Stato o di governo) dove, tra le altre cose, si prendono le decisioni più importanti. E dove Francia e Germania hanno un ruolo di primo piano. Ed è inevitabile che entrambi i Paesi (e pure l’Italia, FdI è il primo partito) dovranno tenere conto dei risultati dell’estrema destra a livello nazionale. «Abbiamo già visto l’enorme potenziale di veto – e dunque ricatto – esercitato dal Fidesz di Viktor Orbán. La consapevolezza di questo potere è destinata a crescere ed essere messa in atto per ostacolare una serie di obiettivi, soprattutto per quanto concerne ambiente e diritti civili, su cui destra e ultradestra condividono spesso terreno comune», afferma Pirro. «Bisogna vedere – conclude Lorimer – cosa succederà con le elezioni dei prossimi anni». Ma è inevitabile che il peso dei governi guidati o sostenuti dall’estrema destra avrà un impatto sull’Europa di domani.
Foto copertina: ANSA/ANDRE PAIN | Le Pen e Bardella (RN)
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