Chi guiderà i vertici Ue? Da Von der Leyen ad Antonio Costa, i politici in pole position per i ruoli di governo

I leader dei 27 potrebbero indicare i tre nomi alla cena “informale” di lunedì 17 giugno ma i candidati favoriti sono già emersi

A Ursula von der Leyen devono fischiare un tantino le orecchie. Mai come in questi giorni si è parlato, scritto, speculato sul suo possibile destino politico. Così che la chiave di volta per l’Ue post-elezioni pare essere solo la risposta alla domanda se l’ex ministra di Angela Merkel vincerà o meno la sua scommessa di restare alla guida della Commissione. Questione importante, ovviamente, ma che nasconde una realtà ben più profonda: insieme a lei sono in scadenza e andranno rinnovati una trentina di altri incarichi di vertici Ue. Per gli altri 25 componenti della Commissione c’è tempo: ai governi nazionali sarà chiesto di nominare il loro candidato (o una rosa di candidati) solo dopo che il o la presidente della Commissione sarà stato confermato dal Parlamento europeo. Non prima di metà luglio, dunque. La decisione che invece potrebbe arrivare presto, forse molto presto, è quella che riguarda gli altri due incarichi chiave di governo dell’Ue (top jobs, all’anglofona): quello di presidente del Consiglio europeo e quello di Alto rappresentante per la politica estera e di difesa. La notizia è che di qui a una settimana – complice pure l’esito delle Europee in alcuni Paesi chiave – la nuova terna potrebbe già essere ufficializzata. Da giovedì infatti i leader dei Paesi chiave dell’Ue condivideranno pranzi, cene e caffè a margine del G7 a Borgo Egnazia, in Puglia: scena non ufficiale ideale per concordare la linea in vista del vertice dei 27 capi di Stato e di governo in programma la sera di lunedì 17 a Bruxelles. Da cui potrebbe arrivare l’accordo sul pacchetto di nuovi leader Ue. Con tre nomi in pole position: quelli di Ursula von der Leyen, dell’ex premier portoghese Antonio Costa e dell’attuale premier estone Kaja Kallas.


Commissione: Ursula von der Leyen

La 65enne tedesca ha fatto campagna in tutta l’Ue per essere rieletta alla guida della Commissione praticamente da sola: nel senso che di altri contendenti «veri» non ne aveva. Certo, anche la famiglia dei socialisti ha indicato un suo uomo come Spitzenkandidat, il Commissario uscente al Lavoro Nicolas Schmit, ma era noto a tutti che fosse una candidatura essenzialmente di testimonianza. Idem, a maggior ragione, i capofila Ue indicati da Verdi e Liberali. E d’altra parte, avendo dovuto corteggiare per lunghi mesi governi e partiti un po’ di ogni colore politico, von der Leyen ha finito per muoversi su un filo da equilibrista – su temi come immigrazione, diritti e transizione ecologica in primis. Risultato: la presidente uscente s’è trovata a essere il bersaglio di tutti quelli che volevano segnare punti «facili» in campagna elettorale. Non solo i “soliti” Orbán e Salvini: verdi e socialdemocratici hanno marcato volentieri le distanze, il suo ex «mentore» Macron – con la sponda italiana di Matteo Renzi – ha lasciato filtrare perplessità sulla tedesca, provando a contrapporgli lo spettro di Mario Draghi, mentre nello stesso Ppe si è palesata una fronda tanto silenziosa quanto rischiosa per von der Leyen. Eppure, come notava con Open alla vigilia del voto Nicoletta Pirozzi dello Iai, nessuno aveva un reale piano B per la guida della Commissione. Più tattica elettorale che controproposta insomma. E così non appena le urne si sono chiuse – anzi, perfino prima, visto che i dati di mezza Europa e pure le reazioni dei protagonisti sono arrivati a seggi italiani ancora aperti – è apparso chiaro che von der Leyen ha tutti i favori dei pronostici. Con buona pace del boom di (alcune) estreme destre, è il Ppe ad aver stravinto le elezioni a livello Ue. La Cdu, partito da cui proviene, ha fatto il pieno di consensi in Germania. E Olaf Scholz, uscito debolissimo dal voto, non ha ragione di non sostenere la sua connazionale. Lo stesso Macron, vera e propria “anatra azzoppata” dopo la débacle elettorale, non ha la forza, né credibilità per contrapporre un altro candidato a sorpresa – Draghi o chi per lui -, concordano tutti gli analisti. Quanto a Meloni, la premier più in forma d’Europa, il suo feeling con von der Leyen l’ha confermato e «messo in piazza» con apparizioni pubbliche congiunte da mesi: difficile cambi idea. La solidità politica e l’esperienza di Donald Tusk e Kyriakos Mitsotakis, i premier di Polonia e Grecia che guideranno il fronte Ppe nei negoziati sugli incarichi, dovrebbe fare il resto. Se così sarà, a von der Leyen non resterà che trovare poi la quadra giusta per avere gli almeno 361 voti necessari per essere confermata al Parlamento europeo. Missione possibile.


Consiglio europeo: Antonio Costa

Assegnato il “primo premio” al Ppe, che dominerà il prossimo Parlamento Ue con 186 seggi, la seconda forza titolata a richiedere un incarico di alto livello Ue è il Pse (135 seggi). Tradizione vuole che per instradare ogni legislatura Ue verso la maggioranza che dovrà guidarle, i top jobs rispettino infatti un principio di distribuzione della rappresentanza politica. Insieme ad altri due: l’equilibrio geografico e quello di genere. Se von der Leyen è la scelta del Ppe, la prima mossa il Pse l’ha fatta già all’indomani del voto. Lunedì mattina il segretario generale del partito socialista, l’italiano Giacomo Filibeck, ha detto chiaramente che i progressisti intendo reclamare per loro la presidenza del Consiglio europeo – l’organo dei 27 capi di Stato e di governo che dà impulso politico all’azione dell’Ue. E ha fatto un passo in più, perché nell’assicurare che nella famiglia del Pse c’è «un’ampia gamma di leader che avrebbero tutti i titoli» per ricoprire tale posizione ha fatto nome e cognome di un possibile candidato. Quello dell’ex premier portoghese Antonio Costa, 63 anni. A ragion veduta, si scopre oggi. Perché secondo il quotidiano portoghese Expresso, la trattativa per portare l’ex leader di Lisbona nel ruolo da cui presto decadrà Charles Michel è già più che avviata. Costa avrebbe già ottenuto il sostegno di Olaf Scholz, che dovrebbe incaricarsi a nome dei socialisti – ma pure del peso massimo Germania – di portare il suo nome al tavolo dei leader. L’altro rappresentante del pur indebolito asse franco-tedesco, Macron, ha tessuto più volte in passato del “collega” portoghese: difficile farà mancare il suo appoggio. E a completare una certa trasversalità nello spingere la candidatura di Costa è il fatto che a farsene portavoce sia, pur a fari spenti, il suo successore di centrodestra Luis Montenegro. Il neo-premier secondo Expresso avrebbe perorato la causa personalmente già prima del voto con Scholz, Sanchez e von der Leyen. Per assicurare al Portogallo un posto di rilievo Ue che manca dalla fine dell’era-Barroso, e pure per lanciare un ramoscello d’ulivo ad uso interno ai socialisti (Montenegro guida un governo di minoranza). Costa, d’altra parte, può vantare di aver guidato per nove anni il Portogallo, con ottimi risultati economici, ed è riconosciuto dalla maggior parte dei colleghi europei – pure di altro colore politico – come leader serio e dialogante. Lo scorso novembre si dimise subito dopo l’apertura di un’inchiesta per corruzione che toccava una serie di uomini a lui vicini. Lui però, s’è poi chiarito, non vi era coinvolto, e la portata stessa dell’inchiesta pare essersi nel frattempo ridimensionata. Se dai leader di destra non emergerà un muro a sorpresa, il suo nome è in pole position per guidarli nei prossimi cinque anni.

Alto Rappresentante: Kaja Kallas

Se le due pedine di popolari e socialisti troveranno conferma, la terza e ultima nomina di vertice cui saranno chiamati i capi di Stato e di governo Ue sarà quella del nuovo Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza. Qui le certezze diminuiscono, almeno per ora: perché i liberali di Renew – che nello schema preconfezionato della «maggioranza Ursula» avrebbero titolo a richiedere il terzo top job – sono andati particolarmente male alle Europee (79 seggi, 23 in meno della scorsa legislatura, batosta per il leader di riferimento Macron); e perché – le due cose vanno a braccetto – un nome chiaro su cui tentare di raccogliere il consenso ancora non c’è. Al momento però un candidato su tutti pare profilarsi all’orizzonte. Anzi una: l’attuale premier estone Kaja Kallas. Se è vero che il confronto con la Russia sarà la sfida internazionale numero 1 cui l’Ue dovrà dedicarsi nei prossimi anni, chi crede nella causa di un’Europa più forte e al fianco dell’Ucraina potrebbe trovare difficilmente candidata più adatta. Come le altre leader dei Paesi baltici, Kallas dà battaglia sul tema da anni, anche prima che scattasse l’invasione dell’Ucraina. I Paesi dell’Est Europa insomma – compresa la Polonia – dovrebbero metterci la firma. Kallas è alla guida dal 2021 dell’Estonia al timone di un partito liberale che fa parte della famiglia di Renew, e ha cercato con insistenza negli scorsi mesi in particolare il sostegno del suo leader Emmanuel Macron. Che ricevendola a Parigi solo poche settimane fa ha sottolineato con enfasi la comunanza di veduta soprattuto sul futuro della Difesa Ue. Non ancora un endorsement, ma poco meno. Con Macron indebolito, comunque, Kallas pare aver capito di dover cercare consensi anche altrove – e così all’indomani del voto ha consegnato ai media del suo Paese parole d’insolita chiarezza per un premier in carica: «Valuterei molto seriamente di accettare un incarico di vertice Ue, è un grande riconoscimento sia per l’Estonia che per me che il mio nome sia menzionato letteralmente ovunque». Perché la sua candidatura passi dalla teoria alla pratica, serve battere la concorrenza interna di altri possibili candidati liberali – sono circolati nelle scorse settimane i nomi del ministro degli Esteri lussemburghese Xavier Bettel o del premier belga uscente Alexander De Croo -, ma soprattuto le perplessità dei Paesi della «vecchia Europa». Proprio il suo focus sul confronto muscolare con la Russia per alcuni può rappresentare infatti un limite: «Capisco la logica di dare un top job a un est-europeo, ma abbiamo bisogno di qualcuno che sappia occuparsi pure di Africa o di Sudamerica», ha spiegato a Politico un anonimo diplomatico del Sud Europa (per non parlare di Medio Oriente, verrebbe da aggiungere). Il 18 giugno Kallas compie 47 anni. Per festeggiarli con uno «scatto di carriera» che suonerebbe storico per l’Estonia dovrà prima sgombrare il campo da queste incognite.

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