Previsioni Inps, perché i 30enni di oggi andranno in pensione a 70 anni
Se hai 30 anni, hai cominciato a lavorare all’inizio del 2022 e sarai in possesso di almeno 20 anni di contribuzione potrai andare in pensione nel dicembre del 2063 con 69 anni e 10 mesi d’età. È ciò che emerge dalla proiezione del simulatore Inps “Pensami”, elaborata in virtù degli adeguamenti agli incrementi alla speranza di vita, in base allo scenario demografico Istat mediano (base 2022) relativo alle tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario. Lo strumento utilizzato per determinare la propria pensione è, però, considerato di fatto «superato» dallo stesso Istituto nazionale della previdenza sociale.
«Stiamo lavorando a un nuovo strumento»
«Stiamo lavorando a un nuovo simulatore che grazie alle tecnologie consenta in modo semplice ed immediato a ogni cittadino di determinare la propria pensione», ha detto il presidente dell’Inps, Gabriele Fava. Si tratta di uno strumento quali-quantitativo, accessibile da web o dallo smartphone e «che consente di simulare percorso di vita attiva e contributiva. Anche diversi da quello attuale, integrati con opportunità come la contribuzione volontaria o il riscatto della laurea». Il nuovo simulatore sarà inoltre «affiancato – precisa ancora il presidente – da una campagna di educazione previdenziale perché abbiamo un problema di mancanza di cultura previdenziale». Un progetto, scrive il Sole 24 Ore, che rappresenta una delle novità dell’Inps sotto la guida di Fava e con alla direzione generale Valeria Vittimberga.
Il lungo percorso dei 30enne fino alla pensione
Dalle proiezioni con l’attuale simulatore già emerge il lungo percorso che i giovani dovranno compiere prima di arrivare alla pensione. Chi ha oggi 30 anni e ha cominciato a lavorare da poco potrà andare in pensione tra i 66 anni e 8 mesi nel caso abbia versato 20 anni di contributi e maturato un assegno superiore a una certa soglia (tre volte l’importo mensile dell’assegno sociale nel 2024, quindi 1603,23 euro). E a 74 se non riesce a versare almeno 20 anni di contributi. Inoltre, è stato aggiornato – per l’anno 2024 – l’importo massimo della pensione anticipata flessibile maturata sulla base dei requisiti perfezionati entro il 31 dicembre 2023: da porre in pagamento fino al compimento dell’età richiesta per la pensione di vecchiaia. Ma l’ultimo step non include le novità introdotte dall’ultima legge di Bilancio su Quota 103 (62 anni di età e 41 di versamenti).
Italia al top nella Ue per rapporto spesa-Pil
L’Italia è al top della classifica europea della spesa per pensioni in rapporto al Pil. È ciò che emerge da un documento Eurostat, reso noto ieri e citato dal Sole 24 Ore, con il quale viene fotografato l’andamento dei costi previdenziali nel 2021. Nel nostro Paese le uscite pensionistiche hanno pesato per il 16,3 per cento sul Pil e soltanto in Grecia è stato registrato un livello più alto, ovvero 16,4 per cento. Nel 2021 – come ricorda il quotidiano economico-finanziario – la propensione al pensionamento in Italia era significativa anche per la possibilità di uscire anticipatamente offerta da Quota 100.
Gli Stati Ue hanno speso 1.882 miliardi (2021)
La classifica di Eurostat, dove l’Italia è seguita dall’Austria (15 per cento) e dalla Francia (14,9 per cento), non prevede una distinzione nel flusso di spesa per i trattamenti pensionistici e quelli “previdenziali-assistenziali”. Nel 2021 gli Stati dell’Ue hanno speso complessivamente 1.882 miliardi per prestazioni pensionistiche, il 12,9 per cento del Pil dell’Unione. Rispetto al 2020 le uscite sono aumentate del 2,8 per cento, ma l’incidenza sul Pil ha visto una diminuzione (0,7 punti).
Secondo l’Eurostat, nel 2021 il 27,2 per cento della popolazione Ue era costituito da beneficiari di pensioni. Le pensioni di vecchiaia sono state lo strumento più utilizzato (rientrano anche quelle anticipate previste dai Paesi dell’Unione): 79,9 per cento di tutta la spesa, 80,3 per cento dei pensionati. La seconda categoria di prestazioni più diffusa è stata quella relativa ai trattamenti di reversibilità: 12 per cento della spesa, 21,3 per cento dei beneficiari. Seguono le pensioni di invalidità e i trattamenti di disoccupazione.
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