«Negare il suicidio assistito non viola i diritti del malato», cosa dice la sentenza della Cedu: il caso in Ungheria e il richiamo alle cure palliative
Negare il suicidio assistito non viola i diritti della persona malata, ma è necessario garantire l’accesso ad adeguate cure palliative. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) in una sentenza destinata a far discutere. Il caso su cui hanno deliberato i giudici di Strasburgo riguarda il ricorso presentato da un uomo ungherese, affetto da sclerosi laterale amiotrofica in stato avanzato, che vorrebbe essere aiutato a morire prima che le sue sofferenze diventino troppo grandi da sopportare. In Ungheria il suicidio assistito è reato. E chiunque assista una persona, sia in patria sia all’estero, può essere perseguito penalmente.
La sentenza della Cedu
Nella sentenza emessa oggi, giovedì 13 giugno, i giudici della Cedu evidenziano che vi sono implicazioni sociali ampie, ma anche rischi di errore e di abuso, nella pratica della morte medicalmente assistita. «Nonostante una tendenza crescente verso la sua legalizzazione, la maggioranza degli Stati membri del Consiglio d’Europa continua a proibire sia il suicidio medicalmente assistito che l’eutanasia», si legge nel verdetto della Corte. Di conseguenza, scrivono i giudici, i Paesi hanno «un ampio margine di discrezionalità in questo ambito» e la Cedu ritiene che le autorità ungheresi non sono dunque da ritenere colpevoli.
Le cure palliative
Il verdetto della Corte di Strasburgo contiene altri elementi degni di nota. I giudici, per esempio, invitano gli Stati a considerare la necessità di cambiare la legge al fine di tenere conto degli eventuali cambiamenti nell’opinione pubblica e degli standard internazionali di etica medica in questo ambito. Infine, la Cedu precisa che le cure palliative di alta qualità, compreso l’accesso a un’efficace gestione del dolore, sono essenziali per garantire una fine della vita dignitosa.
In copertina: Dreamstime/Anna Mudrevskaya
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