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Selvaggia Lucarelli e il “secondo marito” di Chiara Ferragni: cosa c’è dietro l’addio di Fabio Maria Damato

chiara ferragni fabio maria damato fedez
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I conti in rosso. Le «dimissioni volontarie» e la difesa sulle mail di Balocco. Il manager parla di sofferenza e violenza nei confronti suoi e dei dipendenti. E si sfila dalle ultime mosse dell'influencer

L’addio di Fabio Maria Damato a Chiara Ferragni si è consumato ufficialmente ieri 13 giugno. Ma che i due siano separati in casa come marito e moglie si sa da mesi. E, lo ha rivelato lo stesso Damato, accade dal 17 dicembre 2023. Ovvero dal giorno prima del video di Ferragni con la tuta grigia in cui l’influencer cercava di scusarsi con i follower per il caso Balocco. Tanto che oggi Selvaggia Lucarelli sul Fatto Quotidiano dice che anche il suo «secondo marito» scarica Ferragni. E che fosse importante più del primo lo testimonia una scena di The Ferragnez – Speciale Sanremo nella quale quando Chiara scopre l’ennesimo disastro combinato da Fedez sbotta davanti a Damato e al suo team: «Che due coglioni! Non possiamo portarlo da nessuna parte». Come se si trattasse di un bimbo capriccioso.

L’addio di Damato

Ma cosa c’è dietro l’addio di Fabio Maria Damato all’influencer? Di certo ci sono i conti in rosso di Fenice, la società che raggruppa le attività editoriali di Ferragni. Anche se lui ha parlato di «dimissioni volontarie», rompendo un lunghissimo silenzio che lui dice di aver avuto finora per rispetto delle gerarchie. Di certo c’è che il manager detestava Fedez perché secondo lui nuoceva all’immagine di Chiara. Perché «Damato con lei si comportava come una di quelle madri che sognano che la figlia sposi il principe indiano», è la battuta di un ex dipendente di The Blonde Salad riferita sul Fatto. È Fabio Maria Damato l’autore del monologo Piccola Chiara portato a Sanremo. Era lui a gestire materialmente l’azienda di Ferragni, a occuparsi dei problemi burocratici e del resto. Ed era sempre lui a supervisionare la svolta di Ferragni su diritti civili e istanze femministe.

Il Napoleone di Barletta

Ma il Napoleone di Barletta, spiega Lucarelli, si è sentito trattato da capro espiatorio fin dai primi giorni del Pandorogate. Anche se, lo ha fatto sapere lui stesso, non ha scritto lui le mail alla Balocco. Nel post su Instagram che ha fatto uscire dopo la notizia si leggono tra le righe molte cose. Una di queste è che Damato chiama Ferragni “capo”. E questo significa che non vuole assumersi da solo responsabilità. Poi aggiunge che è fuori dall’azienda dal 17 dicembre. Sfilandosi così anche dal più grosso errore reputazionale del Pandorogate.

Il post di Damato

Nel post Damato dice anche altro: «Lo scorso febbraio, dopo attente e inevitabili riflessioni, ho deciso di dare le dimissioni (quindi no, non sono stato licenziato) dalle aziende con cui ho condiviso un percorso professionale incredibile, e per le quali negli anni ho dato tutto me stesso in termini di assoluta dedizione, idee, cuore e testa, sempre onorando i valori di onestà e correttezza che ci contraddistinguono. A dimostrazione di questo ho accolto fino alla fine le necessità delle società che mi hanno chiesto di restare fino a giugno, nonostante le operazioni di comunicazione poste in essere dal 17 dicembre 2023 in avanti non hanno visto il mio coinvolgimento».

E ancora: «Non mi è permesso in questo momento entrare nel merito del caso Pandoro ma essendo diventate pubbliche alcune mail insistentemente a me attribuite, devo precisare come nessuna di queste mail fosse mia. Resto però amareggiato per come questa vicenda abbia messo in ombra anni di duro e onesto lavoro fatto dalle società e dalle persone coinvolte. Un lavoro sempre in salita, costellato di tanti ostacoli e altrettanti successi, che chiunque si ritenga intellettualmente onesto non può attribuire solo al caso o alla fortuna».

La sofferenza e la violenza

Damato arriva a parlare di sofferenza e violenza: «Mi ferisce la sofferenza inflitta ai dipendenti di tutte le società che si sono sentiti attaccati pubblicamente e hanno visto messe in pericolo le aziende per cui lavorano e di conseguenza i loro posti di lavoro. Esco stremato da una certa violenza che abbiamo tutti subito, specie Chiara Ferragni che ho sempre rispettato come persona e capo e per la quale l’onestà, la dedizione e l’affetto che ho dedicato nessuno potrà mai mettere in discussione».

E infine, il discorso sui soldi: «Nei mesi ho letto una certa ossessione circa i miei presunti incredibili guadagni. Purtroppo (per me) non solo le cifre circolate sul mio stipendio di lavoratore dipendente sono lontane dalla realtà, ma non ho mai nemmeno percepito da membro dei due consigli di amministrazione questi fantastici compensi di cui si scrive, perché sono ruoli che ho ricoperto a titolo gratuito sino alla mia uscita volontaria. Per finire nel segno della coerenza al momento delle mie dimissioni volontarie da tutte le cariche non ho richiesto nessuna liquidazione aggiuntiva, tanto meno da 4 milioni di euro e nulla in più mi è stato versato se non gli oneri previdenziali spettanti per legge a qualsiasi lavoratore dipendente».

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