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Ancona, va a divorziare ma scopre di essere stata ripudiata dal marito con rito islamico: «Non mi portava rispetto»

15 Giugno 2024 - 22:51 Alba Romano
Il caso ha visto protagonisti una 30enne e un 41enne bengalesi che si erano sposati con nozze combinate

Una storia drammatica è emersa in una famiglia di Ancona dove una donna bengalese, poco più che 30enne, ha scoperto di essere stata ripudiata dal marito, con cui viveva in Italia da anni, solo quando ha deciso di avviare le pratiche di divorzio. La scoperta è avvenuta all’ufficio anagrafe del Comune di Ancona, dove la donna, assistita dagli avvocati Andrea Nobili e Bernardo Becci, ha trovato un documento bengalese attestante la fine del matrimonio, che risaliva a maggio 2023. Secondo il legale, il marito aveva ripudiato la moglie seguendo il rito islamico. Una pratica che, però, non ha valore legale in Italia. La donna aveva vissuto inconsapevole di essere già stata “divorziata” secondo il diritto islamico del Bangladesh, fino a quando non ha tentato di formalizzare la separazione in Italia. I due si erano sposati nel 2008 con nozze combinate e, successivamente, si erano trasferiti ad Ancona.

La storia della coppia

Il marito, un operaio di 41 anni, ha giustificato il ripudio affermando che la moglie non si comportava secondo i suoi standard di «buona moglie». Nei documenti ufficiali bengalesi, l’uomo ha accusato la donna di «insubordinazione» e «adulterio», sostenendo che non gli mostrava il rispetto dovuto e preferiva vivere una vita autonoma, senza prendersi cura di lui come avrebbe dovuto, a suo avviso. Ora, la donna vive con i figli minorenni in una struttura protetta della provincia di Ancona, avendo denunciato il marito per maltrattamenti e lesioni. Il 41enne è attualmente al secondo processo per questi reati. Nel frattempo, la difesa della donna ha predisposto un ricorso al tribunale civile della città per il riconoscimento dei diritti della signora e dei suoi figli, sottolineando l’invalidità della sentenza islamica nel contesto del diritto italiano: «Abbiamo evidenziato l’inesistenza, per il nostro ordinamento giuridico, di una sentenza islamica contraria a norme imperative di legge e ai diritti fondamentali, in quanto deriva da forme di oscurantismo», fa sapere uno dei due legali.

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