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Brando, il bambino che ha una malattia senza nome: «Era il numero 23 al mondo»

17 Giugno 2024 - 08:35 Redazione
brando buttafuoco stefano buttafuoco alessia ioli
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L'associazione del padre ha finanziato una ricerca con Telethon. Ma i soldi sono finiti

Brando è un bambino di sei anni che ha una malattia senza nome. Per chiamarla si usa la sigla del gene difettoso che la provoca: mutazione di Camk2b. Si tratta di un problema che colpisce il cervello e causa un ritardo cognitivo. «All’età di due anni, quando abbiamo ricevuto la diagnosi, Brando era il bambino numero 23 al mondo ad avere questa mutazione», spiega a Repubblica il padre Stefano Buttafuoco. Che ha scritto un libro, Il bambino 23, per raccontare la storia di suo figlio. I meccanismi patogenetici che la causano non sono ancora noti», scrive Telethon, la fondazione che si occupa di ricerca e cura delle malattie genetiche rare. «Abbiamo fondato un’associazione, Unici, per raccogliere fondi e partecipare a un bando di Telethon. Tra i soldi messi di tasca nostra e quelli donati all’associazione. Abbiamo raggiunto 50mila euro», dice Stefano.

Seed Grant

Il bando, che si chiama Seed Grant, consente alle associazioni di finanziare un progetto di studio. Un gruppo di ricerca del Bambino Gesù di Roma ha cominciato a lavorarci. Selezionando le cellule staminali di Brando e trasformandole in neuroni per capire quale sia il problema. Ma i soldi sono finiti prima che mettessero a punto una cura. Telethon non ha rifinanziato il progetto. «Ci sono situazioni in cui la scienza la risposta non ce l’ha. È tanto semplice da dire quanto duro da accettare», dice Francesca Pasinelli, che di Telethon è consigliere delegato. «Abbiamo introdotto i Seed Grant nel 2019. E, su richiesta delle associazioni di malati rari, abbiamo messo a disposizione il nostro sistema di valutazione: un comitato di esperti indipendenti che giudica il valore scientifico di un progetto. Possono sbagliare, certo. Ma sono in buona fede. È il metodo riconosciuto come il più onesto e trasparente».

Il bambino

Stefano però è dispiaciuto: «Ci siamo sentiti soli. Per continuare la ricerca e il lavoro fatto fin qui dovremmo mettere di nuovo la mano al portafogli. Ma per una famiglia che deve già affrontare una malattia grave del figlio, sobbarcarsi anche la spesa della ricerca è impossibile». Ma purtroppo «trovare una terapia per una malattia rara, ma anche per quelle comuni, richiede anni se non decenni» spiega Pasinelli. «Le famiglie che per prime intraprendono la ricerca sono sfortunate due volte, perché spesso non faranno in tempo a beneficiarne».

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