Giorgia Meloni «silenziosa e fredda» al tavolo delle nomine Ue: «C’è stata una mancanza di rispetto»
Una Giorgia Meloni silenziosa e fredda. Non certo a suo agio per l’inizio della negoziazione sulle nomine alla cena informale tra i capi di Stato e di governo dei 27 paesi dell’Ue. I nomi sul tavolo rimangono quelli di Ursula von der Leyen, Roberta Metsola al Parlamento Europeo, Antonio Costa al Consiglio e Kaja Kallas Alto rappresentante per la politica estera. Meloni deve decidere se votare o no von der Leyen. Il suo aiuto non sarebbe numericamente decisivo, ma servirebbe all’attuale presidente per assicurarsi un numero più alto di voti per la sua nomina. In cambio potrebbe arrivare la nomina di Elisabetta Belloni come commissaria. Intanto però l’alleato Viktor Orbán suona la carica. E chiede di unire le forze della destra europea per combattere «contro i burocrati favorevoli all’immigrazione e alla guerra».
Le nomine Ue
Dietro la freddezza di Meloni c’è la sensazione che si stia decidendo tutto senza di lei. Prima del vertice dei 27 i negoziatori Socialisti hanno visto i Liberali. Questi ultimi hanno poi incontrato i Popolari. E tutti gli altri sono rimasti indispettiti. Meloni inclusa. La premier è arrivata a Bruxelles consapevole del rischio di trovarsi di fronte a un tavolo già apparecchiato. Ma se a Ursula, in teoria, Meloni può facilmente assicurare i voti di FdI all’Eurocamera, per Costa dare il via libera sarebbe più problematico. Sul tavolo della trattativa c’è un commissario di peso, con il titolo di vicepresidente. Un altro nome che gira è quello di Daniele Franco, che dai palazzi romani viene dato in pole in caso di delega alla Concorrenza. In Ecr, non a caso, avrebbero inoltre preferito attendere le elezioni francesi e forse un maggior riassestamento al Pe.
La premier italiana
In tanti infatti, prevedono (e auspicano) che il gruppo dei Liberali perda qualche delegazione, a cominciare da quella dell’ex premier ceco Andrej Babis. La cena dei leader è preceduta dalla girandola di incontri dei negoziatori. E dalla sensazione, da parte degli altri leader, che ci sia stata «una mancanza di rispetto», spiegano fonti diplomatiche europee. Il Corriere della Sera racconta che la premier ha voluto vedere la partita della Francia agli Europei. «Per quanto mi riguarda il metodo è sbagliato, io non ci sto ad accettare un pacchetto di nomine preconfezionato. Le soluzioni di cui si discute non sono state concertate con tutti. Ma soprattutto non ha senso parlare di nomi prima di fare un’analisi seria e profonda del voto».
Una maggioranza senza Meloni
Il riferimento della premier è indirizzato a negoziatori come il premier polacco Donald Tusk, che ha detto alla stampa che una maggioranza sufficiente «esiste anche senza i voti di Meloni». Ma la premier ha dovuto dire di no anche a Orbán. Che avrebbe voluto entrare nel suo gruppo. Ma gli svantaggi sono più degli svantaggi. Anche se Meloni sta cercando di accrescere i numeri di Ecr. Proprio per scavalcare i liberali e diventare il terzo gruppo europeo per presenze. Da qui si spiega l’uscita notturna del premier ungherese: «La volontà dei cittadini europei è stata ignorata oggi a Bruxelles. Il risultato delle elezioni europee è chiaro: i partiti di destra si sono rafforzati, la sinistra e i liberali hanno perso terreno. Il Ppe, invece di ascoltare gli elettori, alla fine si è alleato con i socialisti e i liberali: oggi hanno fatto un accordo e si sono divisi i posti di comando dell’Ue», ha scritto in un tweet.
La tentazione Orbán
E ancora: «Non si preoccupano della realtà, non si preoccupano dei risultati delle elezioni europee e non si preoccupano della volontà dei cittadini europei. Non dobbiamo essere ingenui: continueranno a sostenere l’immigrazione e a inviare ancora più denaro e armi alla guerra tra Russia e Ucraina. Non ci arrenderemo a tutto questo! Uniremo le forze della destra europea e combatteremo contro i burocrati favorevoli all’immigrazione e alla guerra», ha concluso. Ma l’ingresso dell’ungherese nell’Ecr avrebbe troppe conseguenze negative. È giudicato come impresentabile da più componenti, dai belgi ai finlandesi. Che hanno minacciato l’abbandono in caso di una sua entrata.
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