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Premierato, cosa prevede la riforma approvata alla Camera: «È pericolosissima»

premierato cosa prevede riforma costituzionale giorgia meloni sergio mattarella
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L'elezione diretta del presidente del Consiglio. Lo svuotamento dei poteri del Quirinale. Il rischio di tre referendum in una sola legislatura. E quello che manca sulla legge elettorale

Con il primo sì incassato al Senato Giorgia Meloni porta a casa una tappa fondamentale nell’approvazione definitiva della legge sul premierato. Che però adesso potrebbe tornare in Aula soltanto nel 2025, visto che ci sono altre riforme da votare. Tra cui anche la riforma delle carriere dei magistrati. E mentre alla Camera si va verso l’ok anche per l’autonomia differenziata, 180 costituzionalisti firmano un appello per stare al fianco della senatrice a vita Liliana Segre, contraria alla riforma: «La creazione di un sistema ibrido, né parlamentare né presidenziale, mai sperimentato nelle altre democrazie, introdurrebbe contraddizioni insanabili nella nostra Costituzione. Una minoranza anche limitata attraverso un premio potrebbe assumere il controllo di tutte le nostre istituzioni, senza più contrappesi e controlli». Ma cosa prevede il nuovo Ddl?

Come funziona il premierato

Il premierato prevede innanzitutto l’elezione diretta del presidente del Consiglio. La sua elezione sarà contestuale a quella delle Camere e resterà in carica per cinque anni con un limite di due mandati. Che possono diventare tre se nelle precedenti legislature ha ricoperto l’incarico per un periodo inferiore a sette anni e mezzo. Nella riforma c’è anche il potere di revoca dei ministri, che spetta sempre al premier. Viene anche abrogato il potere di nomina dei senatori a vita, oggi appannaggio del Quirinale. Ma conserva la carica per gli ex presidenti della Repubblica. La riforma prevede anche tre casi diversi di soluzione in caso di crisi di governo. In caso di revoca della fiducia al presidente del Consiglio, il Quirinale scioglie le Camere e si torna al voto. In caso di dimissioni del premier, questi può proporre al presidente della Repubblica entro sette giorni lo scioglimento delle Camere.

Cosa prevede

Infine, il premier su sua decisione può farsi sostituire solo una volta nella legislatura da un parlamentare di maggioranza. Così da evitare governi tecnici e ribaltoni. Il Capo dello Stato può sciogliere le Camere anche nel semestre bianco, ovvero quello che porta all’elezione di un nuovo presidente della Repubblica. Poi si alza il quorum nei primi sei voti per l’elezione del presidente della Repubblica: ci vogliono i due terzi, come nelle prime tre. Infine, si abolisce la controfirma del governo in una serie di atti del Quirinale. Tra questi la nomina del presidente del Consiglio, dei giudici della Corte Costituzionale, la concessione della grazia e la commutazione delle pene, il decreto di indizione di elezioni e referendum, i messaggi al Parlamento e il rinvio delle leggi alle Camere.

Le critiche alla riforma

Tra le critiche alla riforma oggi Antonio Polito sul Corriere della Sera spiega che ce n’è una cruciale: il premierato stabilisce l’elezione diretta del presidente del Consiglio, ma non dice come questa avverrà. Tanto è vero che c’è una norma transitoria che prevede l’entrata in vigore solo dopo l’ok alla legge elettorale. Eppure, ragiona Polito, per far sì che il premier abbia una maggioranza in entrambe le Camere sarebbe necessario incardinare i modi in Costituzione. Per esempio il ballottaggio, mentre la soglia minima di voti per la rappresentanza andrebbe definita prima. In più con il premierato, l’autonomia e la riforma delle carriere dei magistrati si rischiano tre referendum costituzionali in una sola legislatura. Con il rischio concreto di bocciatura per tutte e tre.

Il costituzionalista

Ugo De Siervo, presidente emerito della Corte Costituzionale, va più nel dettaglio oggi in un’intervista a La Stampa. E parla di riforma pericolosissima: «Nel testo costituzionale che è all’esame del Senato, fanno una scelta pericolosissima, ovvero la contestualità dell’elezione del capo del governo con la selezione dei deputati e dei senatori. Ecco, unificare in un unico momento queste due diverse selezioni, vuol dire un sistema istituzionale nel quale c’è solo una maggioranza, che esprime il capo del governo più i suoi parlamentari, e una minoranza. I cittadini possono esercitare il loro potere di critica e di mutamento soltanto una volta ogni 5 anni. Ora, questo contrasta con le regole di tutte le democrazie contemporanee».

Il bilanciamento

Secondo De Siervo infatti «tutte le democrazie contemporanee possono avere dei meccanismi più o meno forte di individuazione del capo del potere esecutivo, ma hanno sempre e necessariamente mantenuto un bilanciamento fortissimo tra questa scelta e la scelta dei parlamentari. Per capirci: in Francia, Macron non ha necessariamente una maggioranza in Parlamento. Lo stesso accade negli Stati Uniti con Biden. Nessuno, in sistemi di presidenziali o semipresidenziali, ha quello che sarebbe garantito al presidente del Consiglio di questa ipotetica riforma cioè un’omogeneità tra Esecutivo e Parlamento».

La separazione tra i due poteri «verrebbe a cadere perché non solo si voterebbe lo stesso giorno, ma perché è evidente che i candidati a capo del governo farebbero anche le liste elettorali. Così avremmo un governo il quale nasce con una maggioranza garantita a priori alla Camera e al Senato. Questo non è bene. E’ una scelta di grande pericolosità. Infatti non esiste in nessuna democrazia un sistema così. Ed è una cosa molto significativa: vuol dire che gli altri Paesi, sulla base di riflessioni e di storie variegate, però hanno tutti escluso che il Parlamento possa essere necessariamente omogeneo al governo».

Il presidente della Repubblica

L’altro punto fondamentale secondo il costituzionalista è lo svuotamento dei poteri del Quirinale, ovvero «la formazione del governo e l’eventuale scioglimento anticipato delle Camere. Rimangono sulla carta, ma in pratica si fa decidere come e quando dalla nuova ipotetica Carta costituzionale ciò che al momento attuale decide liberamente e responsabilmente il Presidente della Repubblica».

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